Catacombe Ad Decimum di Grottaferrata

Grottaferrata, 1905, una figura curva nel mezzo della vigna. Colpi di vanga sordi, precisi e cadenzati.
Siamo al X miglio dell’antica Via Latina, ovvero a circa 15 km da Porta Capena, il più antico ingresso per Roma attraverso le Mura Serviane, nonché dal cimitero ipogeo di San Sebastiano, noto in epoca romana con il nome di Catacumbas.

Origini ed evoluzione delle Catacombe

L’area della Capitale che si estende fra la Basilica di San Sebastiano e il circo di Massenzio è caratterizzata da una depressione che anticamente ospitava una cava di pozzolana, in seguito tramutata dai cristiani uno spazio cimiteriale sotterraneo. Nacquero così le prime catacombe come soluzione economica per la sepoltura dei corpi.
Durante l’impero degli dèi pagani, solo i nobili e i potenti avevano la possibilità di edificare mausolei privati per ospitare le loro spoglie mortali, i cadaveri della gente comune venivano inceneriti e riposti in urne ospitate all’interno di colombari. La legge, inoltre, dettava che le sepolture dovessero essere situate all’esterno delle mura cittadine per ragioni di ordine igienico.
L’avvento dei cristianesimo portò nella spiritualità degli Antichi un nuovo concetto: quello di resurrezione dei corpi dalla morte, chiamati al Giudizio finale. La pratica di cremare i cadaveri, perciò, cadde in disuso e contestualmente decadde anche a prescrizione di non seppellire i morti entro le mura della città.
Katà kùmbas, ovvero “al di sotto delle cavità” oppure “presso le grotte”. Questa denominazione, che originariamente indicava il cimitero di San Sebastiano, divenne infine il termine ufficiale con cui appellarsi alla tipologia di sepoltura cristiana ipogea diffusasi a partire dal II d.C.
Alcune di queste catacombe ospitarono i corpi dei martiri e dei padri della Chiesa ed erano oggetto di pellegrinaggi e adorazione da parte dei fedeli, occorrenza che a conti fatti finì per trasformava queste catacombe-reliquiari in veri e propri santuari. Nel corso del VI secolo, le invasioni dei Goti e dei Longobardi spinsero la classe ecclesiastica a trasferire i corpi dei santi verso luoghi di riposo più sicuri, quali Chiese e Basiliche e dal IX secolo le catacombe vennero completamente abbandonate. La natura fece il suo corso, la terra e il fango ostruirono gli ingressi, la vegetazione prese il sopravvento e il ricordo delle catacombe scomparse dalla memoria collettiva per molto, molto, tempo.

La scoperta delle Catacombe ad Decimum

Torniamo ora alla Grottaferrata del 1905, nei Castelli Romani, a quella figura china e ai tonfi della vanga sul terreno. Immaginate il rumore costante e cadenzato che l’attrezzo emette a contatto con il suolo soffice. Immaginate di sentirlo bruscamente interrotto da una vibrazione e da un suono metallico: immaginate di aver appena scoperto, all’interno della vostra vigna, 31 gradini conducono a un sistema di antiche gallerie lunghe complessivamente 225 metri.
In realtà, chi incappò in questa scoperta non aveva idea della lunghezza complessiva delle gallerie, perché l’intero corridoio tufaceo era completamente ostruito da fango, terra e detriti. Se questa occorrenza si fosse verificata ai giorni nostri, la vicenda sarebbe andata -forse- in maniera diversa. Ma erano i primi anni del ‘900 e la tutela dei beni culturali non faceva parte della sensibilità comune (basti pensare che, qualche decennio dopo dopo, il Signor Vincenzo Zoffoli tentò persino di vendere l’affresco del Mitreo di Marino mediante un’inserzione su Il Messaggero).
I proprietari del terreno pensarono di trovarsi all’imbocco di una stanza del Tesoro e per i 7 anni successi proseguirono indipendentemente gli scavi, profanando e saccheggiando le tombe. Solo nel 1912 il terreno venne acquistato dall’Abbazia di Santa Maria di Grottaferrata e si diede inizio a un’indagine accurata e rispettosa del luogo di sepoltura.

Esplorando le Catacombe ad Decimum

Si accede alle Catacombe ad Decimum -così chiamate in quanto situate al decimo milio delle Via Latina– entrando all’interno di una piccola costruzione di fattura novecentesca e scendendo 31 alti gradini, anticamente rivestiti in marmo. Arrivati all’inizio della galleria principale, datata III secolo d.C. e oggetto della devastazione a opera dei precedenti proprietari, ci si trova in corrispondenza di un lucernario, precedentemente utilizzato come pozzo. A destra una piccola cisterna da cui attingere l’acqua per impastare la malta utilizzata per sigillare le tombe, nonché per abbeverarsi durante i pasti comunitari che accompagnavano le funzioni funebri.
Le catacombe schiudono davanti al visitatore in cinque gallerie, che ospitano circa 1000 corpi sepolti qui fra il III e il V secolo d.C. La caratteristica che le rende incredibilmente suggestive risiede, per l’appunto, nel fatto che il 90% dei loculi sono tuttora sigillati e serbano gelosamente le spoglie originarie.
In sostanza, nessuna delle sepolture sopravvissute allo scempio selvaggio del 1905-1912 è stata violata. Fino alla fine degli anni ’90 era ancora possibile osservare i resti collocati nei loculi distrutti, tuttavia in tempi recenti le ossa sono state spostate al fine di evitarne il furto da parte di avventori poco rispettosi.
Nelle Catacombe ad Decimum troviamo diverse tipologie di sepolture:

  • Locus
    Le più comuni, di forma rettangolare e con il lato lungo rivolto verso le gallerie.
  • Tombe a forno
    Con il lato più corto esposto verso i cunicoli.
  • Solium
    La tipologia più ricca, monumentale, che spesso ospitava due corpi e talvolta era sormontata da un arco.
  • Pavimentali
    Nelle quali le salme vengono interrate al di sotto del piano del calpestio.

La morte è definita come “la livella” universale, quell’entità che si eleva al di sopra di ogni giudizio umano per rendere uguali tutti gli esseri. Tuttavia, percorrendo le gallerie e osservandosi intorno è possibile intercettare chiaramente lo status sociale di coloro che albergano nei loculi.
Fra le tombe dei benestanti spiccano una sepoltura a baldacchino, realizzata per un esponente della classe ecclesiastica e per la sua famiglia, nonché il loculo decorato con una fine iscrizione appartenente a un esorcista.
I loculi dei più abbienti sono sigillati in pregiato marmo e presentano delle iscrizioni precise (nome del defunto, età della morte, benedizioni) e talvolta sono fregiati da decorazioni, quali foglie di edera, la raffigurazione del buon pastore tra due pecore e due palme, una colomba con un grappolo d’uva o due colombe poste una di fronte all’altra al di sopra di un’anfora. Alcuni di questi si presentano, all’occhio del visitatore, curiosamente caratterizzate da un colore arancione piuttosto acceso, risultato di un’opera artigianale di “evidenziamento” che il custode decise di  mettere in pratica durante gli anni ’90, con risultati alquanto discutibili.
Fra le pareti sgombre dai loculi si trovano persino alcuni affreschi databili al IV secolo d.C., purtroppo non perfettamente conservati a causa del gran carico di umidità cui sono esposti ma che presentano alcuni dettagli ancora distinguibili, quali San Paolo armato di spada e affiancato dalla fenice, l’uccello mitologico che muore per autocombustione e risorge, invitto, dalle sue stesse ceneri.
Tuttavia, la maggior parte dei cristiani che qui attendono la resurrezione e la chiamata a Giudizio, non erano personaggi facoltosi o figure di spicco. Questa informazione si coglie analizzando la fattura della preponderanza delle lapidi, ricche di crepe e imperfezioni, in quanto realizzate con materiale di recupero proveniente da siti anticamente smantellati nel circondario. Templi pagani, ville di patrizi decaduti, acquedotti in disuso, tutto poteva essere utile per sigillare nella maniera più decorosa possibile i loculi di chi non aveva la possibilità di acquistare del marmo fresco di cava.
Ma non solo, l’elemento più curioso si ricava osservando le 50 iscrizioni rinvenute all’interno della Catacomba. Molte, di fatti, presentano errori grammaticali, talvolta con tanto di correzioni stipate fra le righe. In diverse tombe si rinvengono persino delle imperfezioni nel latino date dall’influenza della lingua parlata dal popolo: ad esempio, basta un attimo di disattenzione e un CUM si trasforma in un colloquiale CON, affascinante testimonianza di come questa preposizione moderna fosse già in uso all’epoca nella lingua viva.
O ancora, spicca fra le tante una lapide che presenta il graffito di un topolino intento a mangiare un pezzetto di formaggio, forse inciso come segno distintivo per consentire ai cari del defunto di rintracciare la giusta sepoltura quando si recavano a prestare i loro rispetti.
Fin da bambini siamo orientati -dalla scuola e dai media- a concentrare la nostra attenzione storica sulle gesta dei Grandi e sui lasciti architettonici che li rappresentano. Tuttavia, è proprio il brulichio di tanti personaggi anonimi che ha animato l’Umanità, rendendo possibili conquiste e rovine. Mille corpi, 50 epigrafi.
Ed è nei restanti 950 loculi senza nome che si nasconde la vera ricchezza, l’autentico Tesoro che i primi scopritori andavano cercando, mentre devastavano i gusci che racchiudono il mistero di tante vite.

Le porte del Mondo Sottile

Quanti memorie custodiscono queste sepolture sigillate? È questo il pensiero che mi porto dentro mentre cammino nelle gallerie fiocamente illuminate. I corpi intatti sono stati riposti all’interno dei loculi. Sono mutati in quello spazio, si sono dissolti.
Si ha l’impressione di camminare all’interno di un grande archivio. Il tufo assorbe le luci e restituisce una tonalità che rende tutto lo scenario color seppia.
Un archivio sì, un archivio con un migliaio di volumi sigillati. Come se nella decomposizione il corpo sfaldasse anche la sua parte metafisica in modo tangibile. Come dentro quel marmo ci fosse ancora il pulviscolo che animava l’intelletto, sito nelle scatole craniche ancora perfettamente conservate.
Come se quell’ammasso di ricordi, pensieri, emozioni, volontà che costituiscono la mente, il pneuma, l’anima, il prana -chiamatelo come volete- fosse intrappolato, o semplicemente protetto, in quello spazio chiuso e che una volta infranto il sigillo le memorie fossero destinate a spargersi e a raccontarsi.
Come se accarezzare una lastra di marmo corrispondesse, dunque, a bussare alle porte del Mondo Sottile.

Alessandra di Nemora

Ringrazio i miei nonni, Anna e Zeno, e mia madre, Stefania, per avermi accompagnata in questo ennesimo cammino nello spazio-tempo, nonché per aver instillato in me lo slancio verso l’archeologia e la meravigliosa tensione verso l’ignoto che scorre nella nostra famiglia

Note

All’interno delle Catacombe ad Decimum non è possibile scattare fotografie, per tanto si precisa che le immagini a corredo dell’articolo sono state reperite online.
Se ne attribuisce, perciò, la piena paternità ai seguenti portali:

  • https://www.romanoimpero.com/
  • http://www.metamagazine.it/
  • https://blogcamminarenellastoria.wordpress.com/
  • https://www.camperclubfoligno.net/

La maggior parte delle informazioni per la redazione di questo articolo mi sono sono state trasmesse da Chiara, giovane guida appartenente al GAL (Gruppo Archeologico Latino Bruno Martellotta) che ci ha condotti attraverso le catacombe illustrandoci con passione i dettagli più interessanti.
Per gli ulteriori ulteriori riferimenti storici:

  • http://www.gruppoarcheologicolatino.org/index.php?option=com_content&task=view&id=13&Itemid=28
  • https://it.cathopedia.org/wiki/Catacomba_%22Ad_Decimum%22_(Grottaferrata)