L’Antro della Sibilla Cumana
L’azzurro cratere dell’Averno.
Non credevo fosse visibile dalla strada che conduce verso Cuma, all’Antro della Sibilla. Eppure, voltando distrattamente la testa e guardando fuori dal finestrino, lo vedo lì. E mi sorprende.
Ha l’aria familiare dei laghi vulcanici. Ricorda in particolare il lago di Nemi, luogo d’origine geografica e concettuale di questo viaggio. Molti sostengono, di fatti, che il celebre lago sullo sfondo del dipinto “Il ramo d’oro” del pittore William Turner, non sia Nemi bensì l’Averno.
Si tratta di un cratere formatosi 4000 anni fa, perciò più recente rispetto ai due laghi nati dal Vulcano Laziale, deve il suo nome al termine greco άορνος, che significa “privo di uccelli”. Pare, di fatti, che la fauna fosse assente nei pressi dello specchio d’acqua per via di esalazione gassose fatali per gli animali.
La tradizione classica pone qui l’ingresso per l’oltretomba: dalle porte dell’Averno, l’Enea virgiliano, inizierebbe la sua discesa –catbàsi– verso gli Inferi, per incontrare suo padre Anchise.
L’idea di posizionare qui l’imbocco dell’Ade, potrebbe essere stata ispirata a Virgilio dalla costruzione della grotta di Cocceio, che ebbe inizio nel 37 a.C., quando il poeta aveva 23 anni. Cocceio progettò questa galleria sotterranea per collegare Cuma alla sponda occidentale del lago per questioni di natura militare. Il cunicolo, lungo circa un chilometro, è chiamato anche “grotta della Pace”: pare che il cavaliere spagnolo Pietro di Pace, nel 1500, sperperò tutti i suoi averi nel tentativo di trovare un tesoro che si diceva fosse seppellito lì dentro.
La presenza del cunicolo nei pressi del lago Averno richiama alla mente, per associazione, l’emissario del lago di Nemi, ma le somiglianze non terminano qui. La profondità delle acque risulta essere praticamente la medesima, 35 metri circa, e inoltre sia Nemi che Averno ospitano un tempio sulle loro sponde: Diana Nemorense il primo, Apollo il secondo.
Ma il legame esistente fra i due laghi è ancora più profondo, come vedremo tra poco.
La sensazione che ho muovendo i primi passi nell’area archeologica di Cuma è una sorta di oppressione legata alle pareti rocciose che si stagliano tutto intorno. Mi sento schiacciata e confusa. E la confusione si amplifica nel realizzare, metro dopo metro, che ci troviamo al centro di una convergenza di templi e luoghi di culto da far girare la testa. Il visitatore non riesce ordinatamente a digerire gli elementi che si presentano: è un susseguirsi incessante di informazioni, suggestioni, vibrazioni.
È l’una e mezzo di pomeriggio di un soffocante pomeriggio d’agosto, il sole brucia la pelle e il sito è deserto.
L’entrata all’area è costituita da un ampio traforo, la cui curvatura dà origine a giochi di luci e ombre. Si nota da subito una particolarità nella parete: è costellata da semisfere, dette coppelle.
Distrattamente si potrebbe pensare che si tratti di segni lasciati dal tempo e dall’incuria, ma non è così. Queste escavazioni emisferiche si trovano praticamente sparse in ogni parte del mondo in associazione con culture megalitiche e il loro significato è per lo più oscuro. Compaiono su massi erratici a partire dal Paleolitico, periodo il cui inizio viene tradizionalmente posto 2 milioni e mezzo di anni fa. Una delle poche certezze legate a questa forma di arte rupestre è che fosse legata, almeno nella fase iniziale, al culto ancestrale della natura. Le ipotesi sulla loro funzione sono diversi: fori atti a raccogliere piovana resa sacra; ospitare sangue di vittime sacrificali quando poste nei pressi di altari; contenere grassi vegetali o animali da incendiare per creare fuochi nei pressi di tombe, come forma di preghiera di rinascita; riprodurre le costellazioni e dunque rappresentare mappe stellari. Un’altra ipotesi è che siano il segno di un’escavazione finalizzata a estrarre minerali taumaturgici e sacri dalla pietra, sarebbero quindi ciò che rimane dell’azione di scavo.
Il cerchio, inoltre, è considerato un simbolo sacro fin dagli albori dell’uomo, un segno collegato all’infinito e al culto della madre terra.
Nei pressi dell’antro della Sibilla si possono trovare centinaia di coppelle, costellano non solo l’ingresso al sito, ma anche le pareti esterne della galleria e parecchie rocce presenti sull’acropoli. Ovunque, guardandosi intorno, si possono rintracciare questi segni arcaici, quasi si trattasse di un continuo promemoria della sacralità del luogo in cui ci si trova.
Attraversando il traforo, sulla destra si apre l’imbocco dell’Antro della Sibilla. La galleria, realizzata presumibilmente intorno al X a.C., salta all’occhio per una particolarità: la forma trapezoidale. Le opere romane sono caratterizzata dall’arco a tutto sesto e la curiosa linea che caratterizza l’antro è segno distintivo di una civiltà chiaramente pre-romana.
Sostando lì, all’ingresso dello spigoloso cunicolo, giunge dal fondo solo uno ieratico silenzio. Non si vede la fine, dove si trova la camera oracolare . Sembra quasi che qualcosa debba emergere dal fondo.
La galleria è illuminata da nove aperture trapezoidali che si trovano sul lato destro, sulla sinistra si aprono una serie di ambienti posti più in basso rispetto al livello del cunicolo: alcuni presentano delle specie di sedili in roccia, altre ospitano delle vasche che si suppone venissero utilizzati per abluzioni e bagni rituali ad appannaggio femminile.
La forma peculiare di questa struttura riporta alla mente altri siti archeologici che presentano la cosiddetta “porta a trapezio”. Alcuni si trovano nel Lazio e nella Tuscia e sono collegati all’antica popolazione degli etruschi, altre sono molto più lontane nel tempo e nello spazio. Parliamo della piramide maya del re Pacal che si trova a Palenque, in Messico, o alle opere rupestri presenti a Cuzco o Ollantayambo in Perù, o ancora la piramide di Cheope in Egitto. L’elemento di particolare interesse è che spesso porta trapezoidale e coppelle compaiono nel medesimo contesto, è il caso –ad esempio- dei siti popolati degli etruschi e del Perù.
Come spiegare questa suggestiva ricorrenza? L’archeologia ufficiale non si pronuncia ma appoggiandosi alle ipotesi di alcuni ricercatori indipendenti, fra cui il più famoso è forse Graham Hancock, si potrebbe timidamente fantasticare sull’idea di una civiltà remotissima e sostanzialmente omogenea al livello planetario spazzata via da qualche catastrofe naturale di cui ci rimangono tracce nell’elemento più solido e resistente della natura: la roccia. I miti di Atlantide e del diluvio universale, diffusi ovunque sulla terra, sarebbero, forse, solo il ricordo distorto e arricchito di fantasia di eventi catastrofici reali avvenuti in epoche antichissime.
Al termine della galleria si supera un arco a tutto sesto e , sulla sinistra, si accede nella stanza dell’oracolo in cui vaticinava la Sibilla. L’impressione è che la galleria continui ma che sia ostacolata da blocchi in pietra.
Non dobbiamo dimenticare che al di sotto del livello dell’antro si trova la cripta romana, opera ingegneristica di grandissimo livello che collegava questa struttura alla grotta di Cocceio. La cripta risulta solo parzialmente esplorata e questo lascia spazio a vaste elucubrazioni su quali misteri si possano celare nel sottosuolo e oltre le pareti apparentemente murate dell’antro.
La leggenda narra che la Sibilla fosse una giovane ed avvenente donna di cui il dio Apollo si era perdutamente innamorato. Per convincerla a diventare sua sacerdotessa, le promise in cambio qualsiasi cosa: la ragazza chiese l’immortalità ma si dimenticò di domandare l’eterna giovinezza. Invecchiò ed avvizzì, il suo corpo divenne piccolo e consunto e si decise, infine, di rinchiuderla in una piccola gabbia all’interno del tempio. Alla fine scomparve e di lei rimase solo la voce.
Virgilio narra che la Sibilla scriveva i suoi vaticini su delle foglie di palma per poi spargerli e lasciarli mescolare dai venti provenienti dalle aperture del cunicolo: per questa ragione gli oracoli risultavano di difficile comprensione, sibillini, per l’appunto.
Secondo la tradizione è la Sibilla cumana che ordinò a Enea di cercare un ramo dalle foglie d’oro (identificato dagli studiosi, probabilmente, come il vischio), il quale può essere spezzato solo da coloro che ne sono degni. Se l’eroe fosse riuscito a strapparlo, allora avrebbe potuto accedere negli Inferi attraverso l’ingresso presso il lago Averno per incontrare suo padre. Entrato nell’oltretomba Enea utilizzerà il ramo per placare Caronte, per poi porlo davanti alla porta di Dite, all’ingresso dei Campi Elisi, come offerta a Proserpina. Quello stesso ramo sarà poi trapiantato all’interno del recinto del tempio di Diana a Nemi e diventerà il famoso ramo d’oro, fulcro del violento culto di successione sacerdotale del Rex Nemorensis. Nemi e l’Averno, sono perciò intimamente connessi anche nel mito.
Nell’antichità era nota la presenza di un’altra donna consacrata ad Apollo e nota per i suoi vaticini: la Pizia, l’oracolo del tempio di Delfi, in Grecia. Entrambe le aree in oggetto, Cuma e Delfi, sono territori soggetti ad attività vulcani. I Campi Flagrei, dove si trova l’antro, altro non sono che un’enorme caldera vulcanica. All’inizio dell’articolo abbiamo parlato dell’etimologia del termine Avernus e dalla motivazione per cui sembra che intorno al lago non vi fossero uccelli: eruzioni gassose.
Respirati in grandi quantità, gas quali zolfo e anidride carbonica portano alla morte, ma inspirati in quote minori arrecano allucinazioni. E sembra sia proprio questa l’origine degli oracoli sconnessi della Sibilla e della Pizia. Inserite in spazi anguste e intossicate dai gas provenienti dal terreno, le due donne cadevano in uno stato di trance che le induceva ad esprimersi per libera associazione elargendo divinazioni, in preda a un’apparente possessione divina.
Le esalazioni di gas collegano ancora una volta Cuma ai Castelli Romani e, in particolare, al lago di Castel Gandolfo: per chi volesse approfondire suggerisco la lettura dell’articolo La pietra fattona, l’oracolo dei Castelli Romani.
Immaginare la voce della Sibilla rimbalzare delirante risalendo dal fondo del cunicolo fra le mura della galleria, mette i brividi.
Nei pressi dell’antro si trova una roccia che presenta una serie di intagli. Ancora una volta, si tratta di segni che potrebbero passare per elementi accidentali ma in tempi recenti si è incominciato a speculare sulla loro schematicità e ricorrenza. Grazie a degli studi condotti da un gruppo di astrofili si è riusciti a identificare la reale funzione degli intagli: si tratta di antichissimi calendari lunari, rudimentali indicatori dello scorrere del tempo. Molta architettura sacra arcaica è incentrata sui movimenti astronomici e l’alternarsi della stagionalità, nel tentativo di riprodurre sulla terra i movimenti celesti per motivazioni pratiche e di culto. Cuma si inserisce appieno all’interno di questo quadro.
Altri intagli sono stati rintracciati all’interno di una della aperture laterali dell’antro che si affaccia in direzione del mare.
Sulla collina sovrastante il cunicolo, c’è un condensarsi incredibile di culti. Abbiamo il susseguirsi dei templi di Apollo, Diana e sulla sommità dell’acropoli -come è giusto che sia- quello di Giove. Un piccolo Olimpo in pietra. Si tratta di costruzioni più recenti rispetto all’antro ma, ironia della sorte, non ne rimangono che le fondamenta. Nel guardare l’intero sito a livello macroscopico sembra quasi che la stanza della Sibilla rappresenti la pietra angolare dell’intera impalcatura sacrale.
Ritengo sia calzante, in questo caso, il concetto giapponese di 奥 oku.
L’oku, per la concezione shintō, è l’ultimo recesso della montagna, lo spazio più raccolto di un tempio, l’angolo più nascosto di una casa. E per la spiritualità giapponese è qui, in questi spazi vuoti, profondi e silenziosi, che si rivela la divinità.
E mentre in superficie, alla luce del sole, Apollo e Giove si disgregano, in questo intimo anfratto nel cuore della terra qualcosa continua a manifestarsi.
Alessandra,
Nemora
Linkografia:
http://wikipedia.it
http://regnidipietra.blogspot.it/2012/02/il-mistero-dellantro-della-sibilla-cuma.html
http://www.vesuviolive.it/cultura/archeologia-vesuvio/30113-stregati-storia-lantro-sibilla-luogo-magico/
http://www.terrinca.it/incisioni_rupestri/coppelle.htm
video YouTube Il mistero dell’Antro della Sibilla
BELLISSIMO OMAGGIO A DUE LAGHI ANTICHI ED AFFASCINATI.
MI HA SEMPRE EMOZIONATO IL RAPPORTO TRA DI ESSI, IL SENSO DEL DIVINO CHE SI PERCEPISCE LÌ.
SONO DI NAPOLI IN PARTICOLARE DELLA ZONA DEI CAMPI FLEGREI, LEGATA SIN DA BAMBINA AL LAGO D’AVERNO E L’ACROPOLI DI CUMA E, DOPO AVER VISITATO NEMI, IL LAGO, L’EMISSARIO ED IL TEMPIO, HO CAPITO PERCHÈ DI QUELL’ INNATO SENSO DI RICHIAMO.
ALESSANDRA SCHIOPPO