La Civiltà Perduta dei Castelli Romani

Vado a cercare Atlantide.

Spesso è questa la frase che do in risposta a chi mi domanda dove mi stia recando, quando mi allontano per perdermi nei boschi dei Castelli Romani.
Il tono naturalmente è scherzoso, ma con il tempo ha assunto una sfumatura ironicamente diversa. Nel corso delle mie prime ricerche non facevo altro che osservare e raccogliere materiale sui ruderi e le curiosità che incontravo nel nemus.
Con il passare degli anni però, nel mezzo di queste annotazioni, ha cominciato a delinearsi un fil rouge che connette fra loro una serie di occorrenze difficili da digerire come mere coincidenze.
Gli occhi catturano degli elementi ricorsivi, dei comun denominatori. La disposizione non casuale di alcuni massi. Le decorazioni peculiari sulle rocce. La geometria diversa che assumono determinati manufatti, lavorati apparentemente tutti dalla stessa mano anche se distanti fra loro.
Il territorio dei Castelli Romani sono stati abitati fin dai primordi dell’umanità, non appena l’attività del Vulcano Laziale ha allentato la sua costante minaccia. La Cultura Laziale, da cui ebbe i natali Roma e il suo impero, vede le sue origini in epoca protostorica dalla Civiltà  Villanoviana (originatasi da popolazioni indoeuropee) e condivide perciò la medesima matrice degli Etruschi.
La radice comune che lega queste due popolazioni, i Latini e gli Etruschi, è riscontrabile nella roccia. Esplorando le aree del Monte Tuscolo, Castel Gandolfo, Nemi, Genzano, Rocca di Papa e delle aree limitrofe, non è raro incappare in reperti che echeggiano le modalità di lavorazione della pietra tipiche delle forme espressive più genuine e antiche degli etruschi, come testimoniamo le immagini riportate nell’articolo.
Basti pensare alle misteriose strutture quali la Piramide di Bomarzo o al sito di Poggio Rota, grezzamente scavati e tempestati di coppelle semicircolari e canaletti, o alle tombe a camera e alle Vie Cave, riscontrabili in forma affine sul Maschio d’Ariano. La radice ancestrale comune si riscontra anche nella profonda attrazione verso il mondo del sottosuolo, dimensione in cui gli etruschi si muovevano con estrema versatilità e che si rispecchia sul territorio dei Colli Albani con opere monumetali quali l’Emissario del Lago di Nemi e la fitta rete di gallerie filtranti diffuse sul territorio.
L’humus da cui sorgono queste culture, le cui vestigia sono preservate nella pietra, è palesemente la medesima, figlia di una tendenza elevata alla fusione con gli elementi terrestri e alla venerazione del divino insito nei cicli solari.
Tuttavia, ampliando lo spettro geografico della nostra indagine, è facile rendersi conto di come in realtà queste “marche distintive” siano riscontrabili anche in aree della Terra molto più lontane.
Senza allontanarci eccessivamente dal Lazio, l’Antro della Sibilla Cumana offre un ottimo esempio. Le pareti d’accesso dell’acropoli, di migliaia di anni più antiche rispetto al centro urbano e al complesso di templi che precedono, sono tempestate di coppelle e incisioni identiche rispetto a quelle riscontrare sui monoliti dei Castelli Romani, della Tuscia e della Toscana.
Distrattamente si potrebbe pensare che si tratti di segni lasciati dal tempo e dall’incuria, tuttavia queste escavazioni emisferiche, si trovano praticamente sparse in ogni parte del mondo in associazione con culture megalitiche e il loro significato è per lo più oscuro. Le si trova sparse non solo in Italia e in nazioni europee quali Regno Unito, Irlanda, Spagna, Grecia e Scandinavia, ma anche in paesi situati ai poli estremi del Pianeta: Australia, Africa Centrale, Mozambico, Hawaii, India, Israele e Messico.
Compaiono su massi erratici a partire dal Paleolitico, periodo il cui inizio viene tradizionalmente posto 2 milioni e mezzo di anni fa.  Una delle poche certezze legate a questa forma di arte rupestre è che fosse legata, almeno nella fase iniziale, al culto ancestrale della natura. Le ipotesi sulla loro funzione sono diversi: fori atti a raccogliere acqua piovana resa sacra; ospitare sangue di vittime sacrificali quando poste nei pressi di altari; contenere grassi vegetali o animali da incendiare per creare fuochi nei pressi di tombe, come forma di preghiera di rinascita; riprodurre le costellazioni e dunque rappresentare mappe stellari. Un’altra ipotesi è che siano il segno di un’escavazione finalizzata a estrarre minerali taumaturgici e sacri dalla pietra, sarebbero quindi ciò che rimane dell’azione di scavo. Il cerchio, inoltre, è considerato un simbolo sacro fin dagli albori dell’uomo, un segno collegato all’infinito e al culto della madre terra.
Non si può omettere il dettaglio che la peculiarissima forma trapezoidale dell’Antro della Sibilla (non pervenuta in nessun altro manufatto della Campania) si riscontra, oltre che nel Lazio e nella Toscana, nella piramide maya del re Pacal che si trova a Palenque, in Messico, e nelle opere rupestri di Cuzco o Ollantayambo in Perù, o ancora nella piramide di Cheope in Egitto. L’elemento di particolare interesse è che spesso la porta trapezoidale e le coppelle compaiono nel medesimo contesto. Curioso notare come dei ruderi di forma affine sembrino spuntare semisepolti dal terreno anche nei pressi del Maschio delle Faete, la vetta più alta dei Castelli Romani, affiancato da una sorta di dolmen decorato da una coppella.
Proseguendo lungo il filo rosso che collega luoghi affini e distanti nello spazio -ma non nel Tempo- è doveroso citare l’affinità fra la forma delle Tombe Grotticelle di Rocca di Papa e gli imponenti dromos costellati di Sfingi delle tombe egizie, o la struttura dei tholos micenei del XIV a.C., del Tesoro di Atreo o del sito funebre domus de janas a Ruinas in Sardegna.
Come interpretare queste ricorsività in territorio così distanti?
Si potrebbe ipotizzare che queste forme di espressione primitiva affondino le loro radici nei fabbisogni spirituali più primordiali dell’Umanità e perciò abbiamo condotto a produzioni identiche, in uno stadio preistorico in cui la nostra specie non aveva ancora avuto il tempo di differenziarsi a sufficienza dai tempi in cui avvenne l’abbandono collettivo della nostra culla, l’Africa. Una sorta di civiltà universale di cui si è perduta traccianuce e madre di ogni singolarità da cui hanno avuto origine le meravigliose e variegate culture del mondo.
In sostanza, quando ci troviamo in presenza di questi monoliti ricchi di incisioni emisferiche, siamo davanti a un luogo atto a ospitare la linfa più schietta della natura umana. Sono altari volti a celebrare l’appartenenza tribale a una sola anima ancestrale.

Nel 2017 ho avuto l’opportunità di guidare un gruppo internazionale di avventurieri indipendenti alla ricerca delle tracce che convalidassero la possibilità di una Storia umana cancellata, di una popolazione saggia e tecnologicamente avanzata spazzata via dai millenni e -chissà- forse da qualche catastrofe naturale.
Li ho accompagnati nei boschi dei Castelli Romani, mostrando loro le particolarità che il territorio aveva da offrire all’indagine in corso. Lì, sulla cima di un grande monolite lungo il Sentiero degli Acquedotti, con il lago di Nemi che brillava sotto il sole di Mezzogiorno, circondata da individui provenienti da ogni angolo della Terra -italiani, russi, ucraini, americani, inglesi, canadesi- ho realizzato che stavamo cooperando per cercare veramente Atlantide e che questa ricerca aveva azzerato ogni distanza geografica e culturale, riportandoci all’origine, quando eravamo Uno.
Stretti, come embrioni nello stesso grembo, fra le braccia di Eva.

Alessandra di Nemora

Luoghi degli scatti:

  • Foto N°1 – Monte Tuscolo; Manufatti di stampo etrusco
  • Foto N°2 – Maschio delle Faete (Rocca di Papa); Porta Trapezoidale semisepolta e dolmen con coppella
  • Foto N°3 – Coppella in primo piano e Lago di Nemi; Sentiero degli Acquedotti

5 commenti su “La Civiltà Perduta dei Castelli Romani”

  1. Articolo interessante, come sempre quando si cerca di andare oltre la storia ufficiale e le sue interpretazioni accademiche. Personalmente apprezzo sempre l’impegno e la volontà. Voglio solo lasciarti qualche mia considerazione, visto che è un’argomento che mi affascina da sempre.

    Per chi è dotato di una mente libera e aperta è piuttosto chiaro e lampante che su questo pianeta (forse anche su altri vicini) ci sia stata un’altra, o molto probabilmente più di una, civiltà altamente sviluppata, molto più della nostra attuale. Quella che comunemente viene definita come “preistoria” è sicuramente un nuovo inizio dei sopravvissuti alla fine di una grande civiltà. Sopravvissuti a cosa? primo grande interrogativo. Questo spiega come mai in luoghi molto distanti tra loro si possono trovare tante similitudini, nelle espressioni artistiche, negli usi, nei miti, nelle credenze “religiose”. Semplicemente sono frammenti di una cultura precedente e diffusa su gran parte del pianeta. E’ sufficiente provare ad immaginare un crollo totale della nostra civiltà, niente più case e città, strade, negozi e servizi, elettricità, acqua sempre disponibile, mezzi di trasporto, ecc.ecc. Dovremmo, i pochi superstiti, ricominciare completamente da zero, imparare tutto di nuovo, visto che ormai abbiamo perso le conoscenze e le competenze per poter sopravvivere nella natura (ancora peggio se ostile) e prosperare. E per arrivare nuovamente ad una civiltà “progredita” ci vorrebbero millenni. Ecco io credo che questa cosa sia già avvenuta più volte nella storia di questo pianeta. Poi ci sarebbe anche l’aspetto che riguarda contatti con civiltà di altri pianeti, e anche su questo ci sono migliaia di testimonianze scolpite sulla pietra in tutto il mondo. Negarli o far finta di niente è da stupidi.
    Insomma un discorso molto complesso, dove il segreto è non avere mai certezze e non fidarsi mai di chi propone verità assolute, perché le conoscenze in nostro possesso sono ancora pochissime e perché solo così si potrà continuare a cercare, senza mai fermarsi. Soprattutto oggi, con le tecnologie disponibili, si potrebbe scoprire tanto, se solo ci fosse la volontà di farlo. Si perché c’è anche un fondato sospetto che a “qualcuno” la possibile riscrittura della storia dia molto fastidio.
    Concludo con due segnalazioni che penso troverai interessanti:
    un articolo sugli “ooparts” (i cosiddetti oggetti fuori posto)
    https://www.coscienza.org/tutto-cio-che-ci-e-stato-insegnato-sulle-nostre-origini-e-una-bugia/

    e un libro recente (c’è chi Atlantide la cerca in Sardegna)
    http://www.mareaddosso.it/blog/blog171227.html

    Buona ricerca
    Un abitante dei Castelli Romani molto curioso

    1. Prima di tutto grazie mille per aver letto fino in fondo l’articolo e per il materiale allegato!
      Apprezzo molto queste tue riflessioni (e quella contenuta nel successivo commento) e ritengo che i quesiti che poni siano più che legittimi. Personalmente ritengo che il futuro riserverà ancora numerose sorprese sul piano della ricerca e dell’indagine (antropologica, genetica, archeologica e della storia delle religioni) perciò ogni ipotesi avanzata è da considerarsi assolutamente parziale e in evoluzione.
      Le ultime ipotesi sulla genesi della nostra specie sono entusiasmanti quanto rivoluzionare, ma d’altro canto la teoria darwiniana ha solo un secolo e mezzo e probabilmente ha ancora tanto margine di progressione.
      Nel frattempo, godiamoci questo viaggio con il gusto della scoprta finalizzato a se stesso!

      A presto,
      Ale

  2. Dimenticavo un piccolo appunto, la culla della nostra civiltà, in base alle ultime scoperte in europa di resti di ominidi molto più antichi di quelli africani, sembra che non sia l’Africa.

  3. Grande Alessandra! Mi piacerebbe tanto che questi articoli e le ricerche annesse fossero raccolti in un libro! C’è tanto mistero e tanta storia che è entusiasmante leggere dei Castelli Romani, così tante info dettagliate

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