Natura abhorret a vacuo, diceva Aristotele. La natura rifugge il vuoto.
Rifiutando il vuoto, essa ha la tendenza a riempirlo in ogni modo con materia solida, gas e liquidi. La condizione del vuoto perfetto non è mai stata riprodotta dall’essere umano e si dibatte ancora sul vuoto cosmico, in quanto laddove vi sia anche solo la presenza di campi di tipo elettromagnetico o gravitazionale essi comporterebbero l’assenza del vuoto.
In poche parole, il vuoto probabilmente neanche esiste.
Eppure l’horror vacui, il terrore del vuoto, esiste eccome ed è una condizione che nella psicologia clinica viene definita cenofobia.
Nella cultura occidentale in vuoto assume una connotazione negativa, viene ricollegato al senso di abbandono, all’assenza di scopo, alla
solitudine, alla desolazione, allo sconforto. “Sentirsi vuoti” indica uno stato di vacuità dell’anima, l’assenza di stimoli.
In Oriente il concetto ricopre un significato ben diverso. Nella religione Shintō, la radice spirituale ancestrale del popolo giapponese, il vuoto è la conditio sine qua non per la manifestazione del divino. Per entrare in connessione con l’aspetto spirituale ci si ritira nella cavità o in luoghi che rappresentino dei ventri accoglienti e sgombri da qualsiasi presenza. Gli spazi destinati ad accogliere i kami, gli dèi, non sono altro che palanchini o ambienti rigorosamente vuoti.
La ragione è semplice: come può manifestarsi qualcosa in uno spazio già popolato?
In poche parole, il vuoto sul piano scientifico -forse- non esiste, ma è ben rappresentato sotto l’aspetto concettuale, sia in positivo che in negativo.
La natura rifugge il vuoto e tende a occuparlo sotto ogni forma, ma perché l’essere umano lo teme? Perché lo identifica con l’ignoto.
E per quanto la natura si impegni nel suo compito di salvarci da esso, a volte le sfugge un dettaglio. Un interstizio. Una sfumatura.
Ed ha luogo uno spazio bianco. O nero, a seconda delle interpretazioni.
Horror vacui, paura del vuoto. Paura dell’ignoto.
Questo vuoto che per noi rappresenta una tela vergine posata sul cavalletto dell’immaginazione. La mente afferra il pennello e disegna, senza freni inibitori, paure e fantasie selvagge.
Questi singhiozzi nella realtà scatenano e proiettano gli aspetti più reconditi dell’anima. Non non è il buio, non è il silenzio a spaventare, ma il timore che qualcosa si muova in quell’oscurità, il terrore che si alzi una voce nel nulla.
Siamo noi a governare i fili di quelle entità che temiamo scorgere, la voce che ascoltiamo è la nostra. E lo sappiamo.
Il timore reale è quello di vedere oscenità danzare e grida alzarsi, consapevoli di essere la matrice originale di quella visione mostruosa.
La natura talvolta fallisce nel riempire tutti gli spazi ed è l’uomo ad adornarli.
Bisogna fare molta attenzione quando si esplora il vuoto, perché il rischio è scoprire di non essere pronti per le ombre cinesi che verranno proiettate su quelle pareti spoglie. O peggio, ci si ritrova vittime dell’incubo che qualcuno ha tracciato prima di noi.
Alessandra di Nemora
interessante articolo e complimenti per il blog! A proposito dell’horror vacui suggerisco una lettura che ho trovato altrettanto interessante: “Horror Pleni” di Gillo Dorfles
buona giornata