L’Ipogeo delle Ghirlande di Grottaferrata, le mummie e l’anello

Non ricordo se la citazione che segue fosse di Lao-zi o di Zhuang-zi, entrambi leggendari maestri taoisti vissuti in Cina tra il VI e i IV secolo a.C., ma il senso della conversazione riportata nel testo era il seguente:

– Quanto dura la vita di un uomo?-
-Una vita.-
-E quanto dura la vita di una mosca?-
-Sempre una vita.-

Questo scambio mi è tornato alla mente proprio ora che mi accingo a scrivere di un’esistenza precocemente spezzata. Una vita dura sempre una vita, anche quando è lunga solo 18 anni. Ma ci sono vite che, in modo romantico e macabro al contempo, si è cercato in qualche modo di prolungare artificialmente anche dopo la morte. Ed è di questo che parleremo oggi.
Entriamo, dunque, nell’Ipogeo delle Ghirlande per scoprire la storia di Carvilio e di Ebuzia.

Pianta dell’Ipogeo.

La scoperta dell’Ipogeo delle Ghirlande

Anno 2000 d.C., X miglio della Via Latina, fra le moderne via della Mola Cavona e Via Anagnina, a pochi metri dalle Catacombe ad Decimum. Mentre si scava per rimuovere un basamento in calcestruzzo sul quale poggiava il traliccio di una linea elettrica ormai in disuso, dal suolo affiorano dei gradini.
Una volta coinvolti gli archeologi della soprintendenza si riprende lo scavo e si riporta alla luce un dromos in laterizio che conduce verso una grande porta in peperino (120 x 90 cm) assicurata da sigilli intatti e corredata da maniglie perfettamente funzionanti. Nonostante i denti della benna dell’escavatore avessero prodotto diversi danni, soprattutto al dromos e agli stucchi che ricoprivano la volta dell’anticamera, la cella sottostante rimase miracolosamente illesa.

Furono necessari due giorni di lavoro per riuscire a rimuovere in sicurezza i sigilli e scoprire cosa si celasse al di là della porta. Infine, il varco si schiuse e rivelò il suo contenuto: una camera sepolcrale di 9 metri quadrati dalla volta a botte, contenente due sarcofagi di marmo disposti ad angolo retto. Dalla collocazione dei sarcofagi possiamo già dedurre un’informazione interessante: anticamente si usava disporre davanti all’ingresso la sepoltura del membro della famiglia morto per primo, in questo caso si trattava del sarcofago recante inciso il nome di Carvilio Gemello (Carvilius Gemellus).
Il secondo sarcofago, danneggiato nella parte superiore e disposto sulla sinistra rispetto all’ingresso, recava il nome di Ebuzia Quarta (Aebutia Quarta).

Il corredo

Al momento della scoperta fu subito chiara l’appartenenza dei defunti a una famiglia agiata, in quanto solo i membri di dinastie ricche e potenti potevano concedersi il lusso di essere sepolti in luoghi prestigiosi come l’innesto fra la Via Latina e la Via Valeria.
La vera sorpresa si ebbe nel momento in cui vennero sollevati i coperchi dei due sarcofagi: laddove ci si aspettava un mucchio di ossa e polvere, si manifestarono due corpi intatti ornati da ghirlande di fragilissimi fiori secchi e ricoperti ciascuno da un sudario.
L’analisi dei pollini ha consentito di identificare le specie utilizzate per la realizzazione delle ghirlande: rose, viole e lilium per entrambe le sepolture. Si tratta di piante che fioriscono in tarda primavera e all’inizio dell’estate, pertanto sappiamo che sia Carvilio, che Ebuzia morirono nella stessa stagione, anche se non necessariamente nel medesimo anno.
Ritroviamo, inoltre, delle ghirlande scolpite anche sulle facce dei sarcofagi, alternate a colonnine simulanti il fusto di palme da datteri: da qui il nome di “Ipogeo delle Ghirlande” con il quale venne denominato il sepolcro, datato al I secolo d. C.

Fra i due sarcofagi furono rinvenuti i resti di alcune ossa appartenenti, si ritiene, a un infante (in alcune fonti si parla persino di diversi denti da latte raccolti sul posto). Le analisi su questo terzo individuo hanno riscontrato una combustione a temperature molto elevate – fra i 700 e i 900 gradi – in condizioni anaerobiche, circostanze compatibili con rituali di cremazione del corpo. Si ipotizzò che si trattasse di resti appartenenti a un figlio della coppia o a un nipote, il cui corpo fu cremato e conservato in un contenitore realizzato in materiale deperibile.

L’anello

Non abbiamo ancora parlato del pezzo più prezioso di tutto il corredo funerario rinvenuto all’interno dell’Ipogeo delle Ghirlande: Ebuzia portava al dito un anello d’oro che contiene nel castone, realizzato in cristallo di rocca, un ritratto in miniatura dalla realisticità sorprendente. Il volto incastonato è tanto ben delineato, quanto etereo, come se emergesse dal fondo di acque profonde. La figura ha lunghi capelli mossi, labbra sottili, un naso pronunciato e le spalle sono scoperte. Volge lo sguardo lievemente verso l’alto.
Si tratta di un oggetto di fattura finissima, che per le sue caratteristiche rappresenta un vero unicum nella storia dell’arte dell’antica Roma.
Una prima analisi dell’anello venne svolta dal Professor Martin Hening dell’università di Oxford, che sostenne l’identità femminile dell’immagine ritratta “con le fattezze di Venere”, ipotizzandone l’uso commemorativo da parte di una figlia in ricordo della madre.
All’epoca era consentito esclusivamente agli aristocratici indossare gioielli in oro, pertanto la natura dell’anello conferma la levatura sociale di Ebuzia e Carvilio.
Le indagini svolte hanno svelato l’assenza di segni d’usura, pertanto è evidente che il monile fu indossato da Ebuzia solo in rare occasioni o persino unicamente nel momento della sepoltura.
Per le qualità artistiche del reperto e per il perfetto stato di conservazione, il valore dell’anello è considerato inestimabile.

Identità dei defunti

Grazie alle tabulae presenti sul fianco dei due sarcofagi, è stato possibile ricostruire con certezza l’identità e la storia dei due personaggi ritrovati.
L’epigrafe sul sarcofago di sinistra recita:

Aebutia C.f. Quarta
Antestiae Balbinae
et 
Carvili Gemelli
mater piissima

Sull’altro, invece, troviamo inciso:

T. Carvilio T.f. Ser(gia tribu)
Gemello:
v(ixit) a(nnis) XIIX, m(mensibus) III

Si tratta, dunque, di madre e figlio. Questo ci porta a escludere a priori che i resti cremati ritrovati fra le sepolture appartenessero a un ipotetico figlio dei due.
Ebuzia, da quanto possiamo dedurre, era stata sposata due volte: prima con Antestio, dal quale ebbe la figlia Antestia Balbina, poi con Carvilio, della gens Sergia, dal quale ebbe Tito Carvilio Gemello, così denominato in quanto estremamente somigliante al padre. L’incisione rivela l’età di Carvilio al momento della morte, 18 anni e 3 mesi. Le incisioni sono realizzate in due stili molto diversi: l’iscrizione sulla tomba di Carvilio è curata e raffinata, mentre le lettere sul sepolcro di Ebuzia appaiono imprecise e diseguali tra loro. Furono certamente due persone diverse a occuparsi del lavoro di decorazione delle tabulae. Ciò convalida la tesi che probabilmente Carvilio ed Ebuzia morirono in momenti diversi ed è possibile che fu Balbina a prendere in carico la cura della tomba di famiglia.
È proprio il nome della figlia che ci fornisce delle informazioni extra su questa famiglia allargata: i documenti indicano che Balbina apparteneva da parte di padre all’importante famiglia chiamata Funisulanus. A poca distanza dall’Ipogeo delle Ghirlande, sempre sulla Via Latina, troviamo – di fatti – la tomba di Lucio Funisulano, personaggio che raggiunse l’apice del potere diventando Governatore dell’Africa, carica seconda solo a quella dell’imperatore. Nei pressi del sepolcro, inoltre, è stata rinvenuta un’ara funeraria dedicata a un parente prossimo di Ebuzia, Gaius Aebutius Romanus, noto possidente terriero.
Abbiamo quindi la conferma che questa famiglia appartenesse a una elite ristrettissima e possedesse immense ricchezze: basti pensare che i sarcofagi, realizzati in fine marmo greco, oggi avrebbero un costo di circa 7.000€ ciascuno, laddove il reddito medio annuo di un cittadino romano era di circa 50€.
Al netto di queste informazioni anagrafiche, però, furono proprio i due corpi a rivelare i dettagli più interessanti. Come si suole dire in ambito anatomopatologico, “i morti parlano“.

Le analisi dei corpi

Nonostante tutte le precauzioni seguite dal team di studiosi nelle loro indagini, le variazioni di temperature, le luci artificiali e l’umidità stavano seriamente rischiando di compromettere lo stato di conservazione dei defunti. Fu perciò necessario procedere con la tempestiva rimozione dei sarcofagi dall’ipogeo, operazione niente affatto semplice, se si considera che il peso di ognuno è di circa due tonnellate e mezzo. Una volta ricollocati presso il laboratorio di Antropologia di Tivoli, si è potuto procedere con una minuziosa analisi dei corpi.
Partiamo dalla prima anomalia da registrare: nel I secolo d.C. la pratica più comune di sepoltura per i cittadini aristocratici era la cremazione e non l’inumazione, tipica di un periodo più arcaico della storia romana e che tornerà di nuovo in voga in un secondo momento con l’avvento del Cristianesimo. Il fatto che Ebuzia e Carvilio fossero stati inumati rappresenta già di per sé un’occorrenza quanto meno inusuale. Inoltre, nei casi residuali di inumazione, era ancora consuetudine inserire una moneta nella bocca del defunto ovvero il corrispettivo da pagare a Caronte per traghettare l’anima del morto attraverso il fiume Acheronte. Nelle due cavità orali, però, non è stato ritrovato alcun obolo.
Ma la vera incognita ruota attorno all’incredibile stato di mantenimento dei corpi: si è trattato di un processo naturale e fortuito oppure c’era stata una chiara intenzione di conservazione dei cadaveri?

Ebuzia

Il sudario di Ebuzia (sx) con ricostruzione virtuale della deposizione (in alto a dx la parrucca decorativa). Al centro le ghirlande ritrovate sul corpo di Carvilio.

Fra i due corpi è quello di Carvilio il meglio conservato: una rottura nel coperchio del sarcofago di Ebuzia (avvenuta all’epoca della sepoltura e riparato con una sorta di “toppa”) ne ha infatti inficiato la preservazione, alterando quello stato di equilibrio perfetto che invece è stato mantenuto nel sepolcro di suo figlio.

Tutto ciò che resta di Ebuzia sono le ossa e le tracce di una vasta bruciatura sulla parte anteriore del corpo. Tuttavia, ci è giunta intatta la parrucca decorativa le cingeva il capo, la quale, per le sue caratteristiche, si configura come una vera e propria opera d’arte. Realizzata con una meticolosa combinazione di capelli umani, fibre vegetali e crini animali, rappresenta un capolavoro di artigianalità. La capigliatura posticcia si intreccia con una delicata reticella d’oro, frutto di una lavorazione minuziosa che vede sottilissime lamine d’oro attorcigliate intorno a fili di seta. Per comprendere la finezza di questo intreccio, basti pensare che lo spessore medio di un capello è di 11 micron, mentre quello di questi “capelli aurei” si assesta a soli 7 micron.
C’è un elemento che rende particolarmente “umana e reale” la figura di Ebuzia: fra i suoi capelli naturali, colorati con l’hennè per ragioni puramente estetiche, risultano presenti dei pidocchi. Similmente, nell’intreccio del sudario che ricopre Carvilio, è stata riscontrata la presenza di piattole. Questo testimonia come anche chi viveva nell’agiatezza non era immune alla convivenza quotidiana con i parassiti, le cui conseguenze in alcuni casi potevano condurre a gravi infezioni o persino al decesso.
Per Ebuzia si è esclusa l’ipotesi di morte in un incendio, in quanto nel complesso lo scheletro risulta integro e la combustione è circoscritta. Le ossa del cranio ci hanno rilevato che Ebuzia aveva fra i 40 e i 45 anni e l’ipotesi che al momento della morte potesse essere incinta ci è suggerita da un piccolo gruppo di ossa rinvenute accanto a lei nel sarcofago. A onor del vero, su quest’ultimo particolare non ho trovato convalida in tutte le fonti consultate per la stesura di questo articolo, di certo per l’epoca si sarebbe trattato di una gravidanza in un’età estremamente avanzata.
La donna certamente era in sovrappeso, come è testimoniato dal logoramento delle ossa del calcagno, gravate probabilmente sia dal peso eccessivo, sia dal costume dell’epoca di indossare i coturni, scarpe dalla zeppa alta che esercitavano una pressione decisamente innaturale sul piede.

Carvilio

Sul corpo di Carvilio, invece, sono ancora visibili i capelli e persino la pelle, al punto da poter osservare il suo profilo immerso nell’antico sonno. Il torace presenta una vasta spaccatura, probabilmente generatasi post-mortem. Dalle radiografie effettuate è stato inoltre possibile individuare chiaramente una frattura del femore destro, forse riconducibile a una caduta da cavallo o a una ferita ricevuta in battaglia evoluta poi in setticemia, possibile causa della morte del giovane.


Nel corso delle indagini è emerso un altro elemento cruciale: il corpo di Carvilius è stato adagiato su uno strato di sabbia e all’interno del sarcofago è stato praticato un foro di drenaggio attraverso il quale i fluidi corporei sono defluiti. Il foro era parzialmente chiuso da un tappo di tessuto che ha permesso ai fluidi di uscire, ma ha impedito efficacemente l’entrata dell’aria dall’esterno. In sostanza, appare evidente l’intento di conservazione volontaria del defunto.
Non solo: su entrambi i cadaveri sono state rilevate tracce di mirra e sui sudari spicca la presenza di colofonia, entrambe sostanze usate dalle popolazioni antiche per imbalsamazioni e mummificazioni.

Le mummie e Iside

Ma come contestualizziamo queste contingenze con l’epoca storica e l’area geografica in cui vissero Ebuzia e Carvilio?
La risposta, ancora una volta, ci arriva dalle analisi svolte sui corpi: sui capelli di Ebuzia è stata rilevata la presenza di una grande quantità di caseina (proteina del latte) di capra, depositata in granuli. Il latte era utilizzato come fissante naturale in occasione di “messa in piega” ma anche nel contesto dei rituali sacri dedicati alla dea egizia Iside, in quanto ritenuto elemento portatore di vita. Inoltre, nei due sarcofagi sono stati ritrovati un nocciolo di dattero (Ebuzia) e un seme di cocco (Carvilio), chiaro collegamento con il nord Africa e, in particolare, con l’Egitto.
Per la tradizione religiosa egiziana la conservazione del corpo fisico era essenziale per permettere all’anima di continuare ad esistere nell’aldilà ed è per questo che veniva praticata sistematicamente la mummificazione dei defunti. Va da sé, dunque, che la cremazione sarebbe stata incompatibile con questo sistema di credenze.
Sappiamo che il culto di Iside iniziò a diffondersi a Roma a partire dalla fine del I secolo a.C., giungendo al suo apice durante il II secolo d.C., assieme ad altre forme religiose orientalizzanti, quali il mitraismo.
Ricordiamo, a tal proposito, le celebrazioni a Iside svolte da Caligola sul lago di Nemi proprio ne I d.C., a bordo delle sue imponenti navi-palazzo.

Iside nella sua rappresentazione iconografica classica.

L’introduzione del culto di Iside nella capitale romana avvenne tramite i contatti commerciali con l’Egitto, in particolar modo durante il regno di Tolomeo II Filadelfo. I vettori della nuova corrente spirituale furono principalmente i soldati di rientro in patria dopo le spedizioni nelle terre lontane e il flusso migratorio che condusse diversi egiziani a trasferirsi a Roma per motivi economici e politici.
Il culto di Iside ebbe fortuna fra i cittadini romani per diversi motivi:

  • Salvezza: La religione isiaca offriva ai suoi fedeli la promessa di una vita ultraterrena felice e la possibilità di riunirsi con i propri cari defunti.
  • Protezione e guarigione: Iside era considerata una dea protettrice e guaritrice, in grado di concedere salute e benessere ai suoi devoti.
  • Riti mistici: I riti isiaci erano spesso caratterizzati da musica, danza e teatralità, creando un’atmosfera esoterica e coinvolgente per i partecipanti.
  • Comunità: La religione isiaca offriva un senso di comunità e appartenenza, particolarmente importante per gli emarginati e gli stranieri a Roma (anche se, naturalmente, non era questo il caso dei protagonisti della nostra storia).

Grazie a questi fattori, il culto di Iside si diffuse rapidamente a Roma, conquistando un grande seguito tra la popolazione, sia patrizia che plebea. Furono costruiti numerosi templi dedicati alla dea in tutta la città, tra cui il famoso Iseum Campense, situato nei pressi del Campo Marzio.
Il culto di Iside rimase popolare a Roma per diversi secoli, fino a quando non fu soppresso dall’imperatore Teodosio I nel 392 d.C., con l’editto che vietava tutte le religioni pagane.
È importante sottolineare che il culto di Iside a Roma non era una semplice copia della religione egiziana, ma piuttosto un adattamento che incorporava elementi della cultura e delle tradizioni romane. Questo sincretismo contribuì al successo del culto egizio a Roma, rendendolo più accessibile e comprensibile alla popolazione romana.
A corroborare l’ipotesi dell’adesione al culto di Iside da parte di Ebuzia e Carvilio, sottolineo che nel 1885 e nel 1908 erano stati rinvenuti nello stesso sito di Grottaferrata i frammenti di una statua del faraone Sethi I.
In breve, madre e figlio -in quanto adepti della religione orientale- sarebbero stati soggetti a una forma di trattamento affine a quella a cui erano sottoposte le mummie egizie, anche se non sappiamo se si trattò di un’imbalsamazione o di una mummificazione. Nella mummificazioni, di fatti, le viscere vengono estratte dal corpo – e conservate in genere separatamente, all’interno dei vasi canopi – mentre nell’imbalsamazione il trattamento si limita a un livello di superficie, con l’utilizzo di unguenti e altri prodotti applicati sul corpo del defunto.
Non si tratterebbe di un caso unico nella Roma imperiale: d’altro canto ricordiamo la coeva Mummia di Grottarossa, appartenente a una bambina di 8 anni, chiaramente sottoposta post-mortem a un processo di conservazione del corpo.
A tal proposito è stata avanzata un’interessante tesi circa l’annerimento riscontrato sul busto di Ebuzia. Si è ipotizzato che la combustione del tronco possa essere stata determinato dal calore sviluppato dalla pece calda con la quale fu riempita la cavità superiore del corpo svuotata delle viscere e delle altre parti molli, nell’ambito di un eventuale processo di mummificazione, forse solo parziale.

L’ipotesi di omicidio

a) Ricostruzione del viso di Ebuzia b) Volto di Carvilio

Dalle analisi dei capelli emerge anche un altro dettaglio estremamente interessante, riguardante Carvilio: sulla sua chioma è stata riscontrata una concentrazione di arsenico venticinque volte più elevata della quantità normalmente presente nel corpo umano. L’ombra dell’avvelenamento, dunque, si aggiunge all’ipotesi della morte per setticemia, anche se va specificato che – seppure in piccole dosi – l’arsenico era usato in quel periodo per curare le infezioni, nonché come cosmetico, oltre che come mezzo efficace per eliminare scomodi avversari.
Da notare come alcune fonti autorevoli consultate (in particolare Miseria e nobiltà nell’area extraurbana a sud-est di Roma in età imperiale; a cura di Mauro Rubini e Paola Zaio) riportino la presenza di arsenico anche dai rilevamenti effettuati nei capelli di Ebuzia.
Quale che sia stata la causa della morte del ragazzo, quel che è certo è che Ebuzia ne rimase sconvolta al punto -forse- da voler commemorare il suo amato figlio in un modo speciale.
Mediante le radiografie delle ossa craniche e attraverso ricostruzioni basate sulla ricollocazione della mandibola in funzione della disposizione dei denti, è stato anche possibile ricreare il viso di Carvilio ed Ebuzia, grazie alla collaborazione con il reparto RIS dei Carabinieri di Roma.
Si può notare una vaga somiglianza fra il ritratto dell’anello e il volto in 3D di Carvilio.

Nonostante inizialmente il busto sia stato identificato con la rappresentazione di una figura femminile, oggi gran parte degli studiosi è concorde nel ritenere che l’anello raffiguri proprio Carvilio, soprattutto in relazione al contesto del ritrovamento. Si tratterebbe dunque, con elevata probabilità, del monile commemorativo commissionato da una madre nel tenero ricordo del figlio scomparso prematuramente.
Ad oggi non abbiamo certezze sulle circostanze che condussero alle morti dei due, né siamo in possesso di indicazioni circa l’identità del terzo individuo cremato e per il momento il mistero è destinato a restare tale.

La dispersione

Attualmente l’ingresso dell’Ipogeo delle Ghirlande è protetto da una struttura lignea perimentrale e non è visitabile. Tuttavia, è possibile ammirare i due sarcofagi originali presso il Museo dell’Abbazia di San Nilo a Grottaferrata e osservare l’anello “di Carvilio” nel Museo archeologico nazionale e Santuario della Fortuna Primigenia di Palestrina. Le mummie sono conservate presso il Museo Nazionale Romano di Roma, ma non risultano visibili al pubblico.

Affaccio dal Museo di Palestrina sul Tempio della Fortuna Primigenia.

Nel visitare i Musei che contengono i reperti, personalmente sono rimasta colpita dal grado di anonimato con cui questi vengono presentati nel percorso di visita, in particolar modo per quanto concerne il preziosissimo anello, sepolto nel mezzo di un vetrinetta con decine di altri oggetti minori provenienti da diversi siti archeologici dei Castelli Romani.
Veramente incredibile, considerando che parliamo di una scoperta che per risonanza è stata persino oggetto di un documentario prodotto da Discovery Channel.
Lo sguardo vitreo di Carvilio ci parla ancora del dolore di sua madre, ma che rumore fa un albero che cade nella foresta se nessuno è lì per sentirlo?
C’è bisogno di valorizzazione e di divulgazione appassionata.
La storia è affascinante quando la si osserva da vicino, quando ci si immerge nelle vite e si tocca con mano l’emotività di coloro che hanno calcato questa terra prima di noi. Se non troviamo un punto di contatto fra il nostro presente e il passato, tutto si riduce a una sequenza di date, nomi e pezzi di marmo. È questo che dovremmo cercare di trasmettere oggi, soprattutto ai più giovani.
I personaggi del passato non sono stati automi che recitavano un copione e avere contezza del dettaglio delle loro vite può essere l’espediente giusto per renderli più “veri”, per donare nuovamente loro la dignità di esseri umani a tutto tondo. È questo il valore più grande della storia: la capacità di proiettarci al di fuori della nostra bolla temporale, per metterci in relazione con la grande narrazione della specie umana, quell’affascinante fiaba che ci unisce tutti in un continuum poetico e crudele allo stesso tempo.

Alessandra

Fonti e risorse:

  • https://www.ilmamilio.it/c/comuni/25624-grottaferrata-e-la-carta-archeologica-la-camera-sepolcrale-dell%E2%80%99ipogeo-delle-ghirlande-e-i-sarcofagi-di-ebuzia-quarta-e-carvilio.html
  • https://www.ilmamilio.it/c/comuni/25290-grottaferrata-e-la-carta-archeologica-tornando-sulla-grande-scoperta-dell%E2%80%99ipogeo-delle-ghirlande-storia-di-una-scavo.html
  • Miseria e nobiltà nell’area extraurbana a sud-est di Roma in età imperiale. March 2012. Conference: Lazio e Sabina; At: Rome; Volume: 9 (Mauro Rubini e Paola Zaio)
  • Una breve annotazione riguardo l’Ipogeo delle Ghirlande presso Grottaferrata, “Bollettino della Unione Storia ed Arte” n. 2, III serie, 2007
  • https://www.cref.it/comunicati-stampa/ipogeo-delle-ghirlande-luso-combinato-di-tecniche-di-spettroscopia-vibrazionale-dei-resti-ritrovati-fa-luce-sui-riti-funerari-della-roma-imperiale/
  • https://www.youtube.com/watch?v=cwJ5nVvRNag
  • https://www.youtube.com/watch?v=60OcxcTsTMw
  • https://www.youtube.com/watch?v=g-F1y-U8rkk
  • https://www.ilmamilio.it/c/comuni/18924-grottaferrata,-i-%E2%80%98reperti-sparsi%E2%80%99-dell%E2%80%99ipogeo-delle-ghirlande-e-l%E2%80%99impossibilit%C3%A0-di-godere-al-museo-di-una-scoperta-nella-sua-interezza.html
  • https://www.ignroma.it/wp-content/uploads/2013/12/anello-carvilio-analisi-gemmologica-istituto-gemmologico-nazionale.pdf
  • https://www.ilmamilio.it/c/comuni/18770-grottaferrata-e-la-carta-archeologica-la-straordinaria-scoperta-dell%E2%80%99ipogeo-delle-ghirlande-nel-2000.html
  • https://cref.it/news_ipogeo_spettroscopia/
  • http://www.osservatoriocollialbani.it/2018/09/20/una-scoperta-archeologica-eccezionale-lipogeo-delle-ghirlande/
  • https://www.lastampa.it/cultura/2017/11/24/news/l-ombra-d-oro-del-giovane-carvilio-la-mummia-di-roma-1.34390857/
  • https://luicox.medium.com/lanello-di-carvilio-dall-antica-roma-un-gioiello-inestimabile-e71663f9f54d
  • https://www.tibursuperbum.it/ita/escursioni/palestrina/santuario/AnelloCarvilio.htm
  • https://dsfantiquejewelry.com/blogs/interesting-facts/spectacular-a-1900-year-old-gold-ring-contains-a-holographic-image
  • https://www.instagram.com/p/CzHRFRxoZDY/
  • https://luicox.medium.com/lanello-di-carvilio-dall-antica-roma-un-gioiello-inestimabile-e71663f9f54d