Il Monte Tuscolo è uno dei luoghi più celebri dei Castelli Romani, frequentato assiduamente da castellani e non, lungamente studiato dagli archeologi e dagli storici. Camminando lungo il suo dorso si incappa quasi sempre in qualche visitatore. Quello che amiamo di questo luogo è la sua enorme accessibilità: non è complesso da raggiungere, ha un ampio parcheggio, è presente un’area attrezzata per pic-nic, abbiamo la zona archeologica con le visite guidate e le panchine predisposte per accogliere gli avventori. Tuttavia, l’anima del Tuscolo è ricca di insenature profonde. C’è chi sceglie di rimanere nella sfera apertamente manifesta del territorio e gode appieno di quanto questo antico luogo ha da condividere sotto al sole.
C’è sempre qualcuno, poi, che invece sarà attratto dalle zone d’ombra. Dal versante occulto del Monte. Da quel passaggio buio nel fitto degli alberi. Dal fuoripista.
Di solito il volano che guida il passo successivo è la pura e semplice curiosità. Chissà cosa c’è lì? Chissà dove si va da quella parte? Chissà.
Spesso la domanda ci conduce verso un elegante buco nell’acqua o incontro all’ennesimo impantamento nei rovi. Altre volte, invece, ci conduce verso una scoperta.
A me questa domanda, un giorno di autunno di diversi anni fa, ha condotto alla Cavità del Teschio.
Cos’è la Cavità del Teschio?
Testa di Morto o Cavità del Teschio, entrambe le varianti sono attestate nella documentazione storica e scientifica. Non che ci sia molto, per lo più si tratta di menzioni all’interno di studi specialistici. È trascorso un tempo lunghissimo fra la mia “scoperta” di questo luogo e l’effettivo reperimento di materiale che ne trattasse anche solo minimamente. Ma partiamo dall’inizio.
Siamo nell’area ad est rispetto al Foro romano, oltre alla Cisterna del Teatro. In sostanza, siamo appena fuori dal recinto dell’area archeologica, lungo il sentiero che -a tendere- passa dietro all’antica acropoli e conduce verso Monte Salomone. Si nota una zona scura, ricoperta da vegetazione, proprio alle pendici della Rocca. Non ho idea del perché mi sia infilata in quell’angolo dimenticato da Dio e dagli escursionisti, fatto sta che appena addentrata nel fitto della boscaglia, alzai la testa e mi ritrovati al cospetto di un mostro di tufo dai grandi occhi neri. Mi avvicinai con estrema cautela, arrampicandomi sul crinale e affondando i piedi nelle foglie secche. Lasciai alla mia sinistra una rete circolare, messa a protezione di un fosso che si apriva nel terreno. Sostavo a bocca aperta davanti al manufatto.
Un vano con base rettangolare, interamente escavato nella roccia, con due ampi ingressi dell’altezza di circa due metri. Il suo esterno era butterato di grandi fori, all’interno erano ben visibili dei vani laterali.
Sembrerebbe una tomba. Epoca? Non saprei, forse proprio relativa agli albori della prima civiltà complessa sul Tuscolo, quando era ancora forte l’influenza etrusca (c’è persino chi ha ipotizzato una fondazione di Tusculum proprio a opera diretta degli etruschi, ma questo argomento meriterebbe un articolo a parte). A guardarla ricorda tanti sepolcri rupestri della Tuscia, ma anche le tombe a camera che troviamo sul Monte Artemisio, nella necropoli che cinge il Maschio d’Ariano.
Non ho il background accademico sufficiente per potermi lanciare in ipotesi complesse e raffinate, sono semplicemente un’appassionata con una certa propensione al riconoscimento di pattern.
Entro nella struttura, la studio, tocco le pareti umide. Esco, esploro un po’ i dintorni. L’impressione è che parte del blocco di tufo sia interrato. Si intravede qualcosina, provo a scostare delicatamente le foglie. Sì, qualcosa qui sotto c’è di sicuro. Mi avvicino alla rete che avevo schivato poco prima, cerco di guardare dentro, ma l’impressione è che sia a fondo chiuso.
Me ne vado portando dentro la fiammella di un punto fisso che mi porterò dietro per anni: che diavolo avevo trovato?
Cercai sul web fino a impazzire, provando in tutti modi ad approdare su un risultato che mi aiutasse a ricondurre quella struttura a un nome. È semplice cercare informazioni riguardo qualcosa che sai come si chiama, ma è difficilissimo attribuire il nome a un qualcosa che non sai neanche cosa sia.
La prima dritta arrivò per caso, sfogliando un volume in una libreria di Frascati, “Tuscolo – Guida ai monumenti e al panorama” di Raimondo del Nero. Venni folgorata da una fotografia che ritraeva proprio il misterioso manufatto. La didascalia recitava “Sepolcro rupestre, forse di epoca Etrusca”.
Allora le mie intuizioni erano corrette. Purtroppo nel libro non trovai altre informazioni sulla struttura in oggetto (al contrario, fu una delle mie fonti principali per l’articolo sull’anfiteatro extraurbano del Tuscolo).
Però c’era qualcosa che mi sfuggiva. La parte interrata, la rete a protezione del fosso, quei fori sulle pareti esterne. Okay, quest’ultimo potevano essere coppelle, spesso ritrovate nei pressi di sepolcri di stampo etrusco, ma perché alcune di esse erano così squadrate? Ancora una volta la mia curiosità era destinata a rimanere insoddisfatta per diversi anni.
La lunga vita della Cavità del Teschio
Finalmente arriviamo all’estate del 2022, mentre svolgevo delle ricerche per la scrittura dell’articolo sulla Chiesa di Sant’Agata e il colombario del Tuscolo. Mi imbattei nel materiale della Prof.ssa Valeria Beolchini -che nel suo bagaglio professionale annovera la conduzione di diverse campagne di scavo di successo sul Tuscolo- divorando avidamente qualsiasi documento disponibile. Ed è proprio grazie suo studio “Insediamenti in grotta al Tuscolo” che potei finalmente assegnare un nome alla struttura (Testa di Morto o Cavità del Teschio, per l’appunto) e, di conseguenza, trovare altre fonti documentali sulla stessa. Finalmente il puzzle era completo. Come spesso accade, in realtà, non vi era una risposta univoca.
Non sarebbe stato sbagliato definire la Cavità del Teschio come un sepolcro, ma avrebbe equivalso a peccare di parzialità. La Cavità del Teschio è stata anche un sepolcro. Ma è stata anche altro e ha seguito la storia e le vicissitudini del contesto in cui era insediata, vale a dire Tusculum e le sue fortune altalenanti.
Si ipotizza che in fase iniziale questo luogo fosse stato sfruttato come tomba e probabilmente -non ne avremo mai la certezza- tale rimase fino al primo momento di declino della città, iniziato nel I d.C. e culminato con l’abbandono totale da parte dei suoi abitanti nel IV-V d.C.
Si avrà poi un graduale ripopolamento dell’abitato nel corso del X secolo, fase in cui i nuovi abitanti sfruttarono alcune delle antiche strutture rupestri a fini abitativi. Questo, naturalmente, prevede un profondo rimaneggiamento dei manufatti, ragione per cui è così complesso stabilire la datazione primigenia del sepolcro del Teschio: gran parte dei tratti originari sono stati cancellate a colpi di mazzetta in epoca medievale. In particolare, durante questa seconda vita della Cavità, verranno intrapresi gli scavi per la creazione di un secondo ambiente rupestre, sottostante a quello attualmente visibile e ad oggi completamente interrato. La mia intuizione dunque era corretta, c’era un altro ambiente sepolto. La documentazione della Prof.ssa Beolchini ci riporta una descrizione dettagliata delle nicchie e delle tracce di focolare visibili sulla volta di questo secondo spazio abitativo, deduco perciò che fino ai primi anni 2000 l’interramento non dovesse essere completo. Oggi la natura ha preso il sopravvento e possiamo solo intravedere qualche particolare emergere fra terriccio e fogliame. E che dire de i numerosi fori che troviamo sulla facciata? C’era una risposta anche per questi: innesti per travi ed elementi lignei che andavano a costituire tettoie e ballatoi per l’abitazione.
Questo segna la seconda fase vitale della Cisterna del Teschio.
Nel XII secolo, però, le sempiterne schermaglie fra tuscolani e Romani raggiungono il pinnacolo e nel 1191 la città sarà rasa al suolo. Il Tuscolo, consacrato ad area di pascolo, torna a essere una silenziosa distesa d’erba e segreti. Ed è così che, qualche secolo dopo, ritroviamo la nostra Cavità del Teschio trasformata in un ricovero per animali (destino che condivide con tantissime altre opere antiche riconvertite ai fini pastorali, basti pensare allo Speco di San Michele Arcangelo a Nemi). È importante sottolineare che nel momento del suo impiego come tomba le rocce sono state levigate e regolarizzate con uno strumento a percussione diretta, paragonabile ad un’ascia o ad un’affacciatrice, mentre nella fase abitativa gli ampliamenti vennero realizzati -verosimilmente- in maniera brutale con un piccone, senza badare all’estetica.
Riepilogando, abbiamo tre fasi d’uso della struttura rupestre (cito questa esemplare summa da “La cavità del Teschio”: analisi archeologica e spaziale in ambiente GID di un complesso rupestre a Tusculum; di M.T. Fortunato, F.M. Pavoni e G. Pastura):
- I fase (tomba). La struttura originaria aveva una forma quadrangolare con soffitto a spioventi a doppia falda, con colmo a 1,90 m dal piano di calpestio. Presentava un’unica apertura d’ingresso che originariamente doveva risultare di minor ampiezza. Sulla parete sinistra della cavità è visibile un bancale che permette di ipotizzare la nascita dell’ambiente come tomba.
- II fase (abitazione). La seconda fase di vita è sicuramente da intendersi come abitativa: il bancale viene sfondato e lo scavo della parete viene approfondito per guadagnare spazio. La porta d’ingresso è ampliata e l’alloggiamento di cardini nello stipite sinistro dimostra che l’apertura non ha più subito trasformazioni. In questa fase viene anche realizzata la finestra. I fori scavati sulla parete di fondo della cavità fanno pensare all’inserimento di una lettiera, mentre l’apertura posta sul piano pavimentale nell’angolo Sud-Ovest della cavità suggerisce la presenza di un focolare. Contestuale a questa fase dovrebbe essere lo scavo dell’ambiente sottostante, attualmente interrato fino alla volta, ma le sue dimensioni ci sono note grazie all’analisi di V. Beolchini che, oltre a fornirci le misure di questo ambiente oggi inaccessibile (2,00 x 1,80) m), documenta la presenza sulla parete destra di nicchie e di un volta ribassata.
- III fase (ricovero per animali). La terza fase di vita è sicuramente legata ad un utilizzo come ricovero pastorale. I cardini della porta vengono trasformati in attaccaglie e nell’angolo Sud-Ovest viene scavata una mangiatoia. Anche la finestra è ampliata (0,75 x 1,50 m) e sulla soglia viene scavata una canaletta connessa alla mangiatoia, adibita allo smaltimento dei liquidi reflui.
La Cisterna di epoca romana
Ci rimane solo un tema da affrontare: cosa si nasconde oltre la rete collocata strategicamente al di sopra del fosso a circa 5 metri dalla Cavità del Teschio? Ebbene, diversamente da come avevo ipotizzato, quel passaggio non aveva un fondo chiuso, ma era il punto di accesso verso una grande cisterna di epoca romana, scavata nel tufo composta da due vani rettangolari (30×3 m), alimentati anticamente da una condotto idrico proveniente da Rocca Priora.
Come sempre quando si tratta di esplorare il sottosuolo, non mi restava che contattare il mio amico speleoarcheologo Alessandro Micarelli (per chi ancora non lo seguisse lascio qui il link al suo Canale YouTube InTenebris e qui il collegamento con la sua Pagina Facebook) che prontamente ha organizzato un’esplorazione della cisterna con tutte le misure di sicurezza del caso.
Finalmente, in una fredda e assolata mattinata di dicembre, abbiamo rimosso la rete di protezione e ci siamo calati all’interno della fossa. Dopo una strettoia da percorrere strisciando, lo spazio ipogeo si apre ed è possibile riguadagnare la stazione eretta. I fasci di luce delle torce scoprono i particolari poco alla volta. Le navate sono ampie, pregne di quell’odore inconfondibile che sprigionano gli ambienti antichi immersi nel buio, sopiti nella terra. Al suolo troviamo dei frammenti di osso e un dente di cinghiale. Chissà, forse per un po’ questo luogo stato il rifugio di un predatore.
La parete di fondo della navata di destra è interessata parzialmente da un crollo. In alto notiamo delle ampie bocche circolari palesemente ostruite in modo volontario con delle pietre: probabilmente dopo l’epoca romana l’afflusso della sorgente si interruppe ed è ipotizzabile che la cisterna venne riconvertita alla raccolta di acqua piovana, dunque è plausibile che questi fori rappresentassero dei pozzi per l’approvvigionamento. Potremmo restare lì a lungo, ad esplorare minuziosamente ogni angolo, ma inevitabilmente giunge il momento della nostra anabasi e torniamo alla luce del sole. Riposizioniamo con cautela la rete, raccogliamo l’attrezzatura e ci avviamo verso il parcheggio.
Per un altro recesso intimo del Tuscolo svelato, ne restano ancora cento da scoprire. O meglio, in cui inciampare. Ma solo al momento giusto.
Ringraziamenti
Grazie ad Alessandro e alla sua famiglia per la disponibilità, tenete d’occhio il Canale YouTube per non perdervi la pubblicazione del video dell’esplorazione. Un grosso ringraziamento ovviamente va anche ad Erika, che ci ha seguiti in questa ennesima follia e che oramai fa ufficialmente da parte della fauna protetta del Parco dei Castelli Romani.
Fonti documentali:
- Insediamenti in grotta a Tuscolo; Valeria Beolchini;
- La cavità del Teschio”: analisi archeologica e spaziale in ambiente GID di un complesso rupestre a Tusculum; di M.T. Fortunato, F.M. Pavoni e G. Pastura;
- Giornale di attività dell’associazione Sotterranei di Roma 16 maggio 2009, a cura di Margherita Dottori;
- Tuscolo – Guida ai monumenti e al panorama; Raimondo del Nero.