L’Anfiteatro sepolto del Tuscolo e le mura Poligonali

Il Monte Tuscolo è un luogo familiare a tutti coloro che vivono nei Castelli Romani.
Una delle mete per eccellenza per pic-nic, passeggiate in compagnia dei propri cani, giri in bicicletta, trekking, barbecue e talvolta teatro di eventi culturali. Il Tuscolo è facilmente raggiungibile in auto e rappresenta, per la maggior parte delle persone, un punto comodo e sicuro di accesso sul verde, ideale per le uscite con tutta la famiglia o con gli amici.
L’antica Tusculum è anche il luogo delle suggestioni, delle evocazioni. Con le rovine romane lambite dalla vegetazione lussureggiante, il panorama spalancato a 365° gradi sul Soratte, Roma, Monte Cavo, Colle Iano, l’Artemisio, i Colli Lepini e i Monti Prenestini. E sullo sfondo, nelle giornate terse, il Mare Tirreno. Chi più, chi meno, tutti abbiamo dei ricordi legati al Tuscolo e a una giornata di sole.
Poi c’è l’altro Tuscolo, quello occulto, selvatico. Quello dei cunicoli, delle stanze sotterranee. Quello dei cinghiali nella nebbia, dei bovini uccisi da una spora di antrace sopravvissuta a secoli di isolamento. Quello delle origini misteriose, dai resti di difficile collocazione temporale, quello delle messe nere degli anni ’80 e ’90.
Un’identità complessa quella del Tuscolo, che fa subito breccia nel cuore per il suo aspetto paesaggistico luminoso ma che si schiude mostrando, solo a chi ha la pazienza dell’incessante tornare, un nucleo di tenebra ed enigmi. Ed in questo confine crepuscolare che si colloca la storia dell’Anfiteatro del Tuscolo.

Il Teatro Romano del Tuscolo

Teatro di Tuscolo
La zona archeologica più nota del Monte Tuscolo è l’antico abitato, dove si concentrava il foro in epoca Repubblicana.
Qui aveva luogo il mercato cittadino e si concentravano gli edifici più importanti della vista civile e religiosa, come testimoniano i resti della sede della Curia del senato tuscolano e i sacella eretti in onore di diverse divinità, fra cui Ercole. Ma il pezzo forte dell’area è costituito dal teatro romano del I secolo a.C. perfettamente conservato, adagiato sul pendio a sud ovest del foro. L’importanza di questo edificio è rappresentata dal fatto che la strada d’accesso all’acropoli venne fatta passare sotto la cavea del teatro stesso, creando una via tecta, ovvero coperta. Il diametro originario dell’edificio era di 45 metri e la capacità poteva raggiungere i 1.500 spettatori. La scena, ingrandita all’inizio dell’età imperiale fino a raggiungere i 12 metri per 35, era abbellita dalle statue di Oreste, Pilade, Telemaco, Difilo e Telegono, figlio di Ulisse nonché leggendario fondatore della città.
L’ambiguità inizia qui: comunemente, di fatti, questo edificio viene chiamato “l’anfiteatro del Tuscolo”. Troverete anche questa denominazione in moltissimi articoli online e la consuetudine è talmente diffusa da aver annichilito l’errore concettuale di fondo. La differenza esteriore cruciale tra un anfiteatro e un teatro romano è che l’anfiteatro è di forma pseudoellittica mentre il teatro è semicircolare e dotato di una scena sul lato rettilineo. Il nome “anfiteatro” non significa però “doppio teatro”, come solitamente ritenuto, quanto piuttosto “spazio destinato agli spettatori che corre attorno all’arena”. L’errore deriva dall’ambiguità del prefisso greco ἀμφί che può tradursi sia come “doppio” che come “attorno“.
A conti fatti, perciò, quello che si trova nei pressi del foro del Tuscolo è un teatro, non un anfiteatro. Ma è possibile che questa confusione sia nata nella testa delle persone solo a causa della somiglianza fra i due termini o c’è dell’altro?

L’Anfiteatro Sepolto

Il Tuscolo non si riduce a questo nucleo stretto attorno all’acropoli ma presenta diverse propaggini, tentacoli che si estendono al di là del nucleo primigenio.
Parliamo degli edifici definiti “extraurbani”, ovvero situati al di fuori del cuore cittadino. Fra questi il più celebre è sicuramente il santuario extraurbano, il tempio di Giove o Ercole, al quale si accede risalendo il lastricato dell’antica Via dei Sepolcri, dopo aver superato i resti dei colombari di epoca romana e il mausoleo di Marco Celio Viniciano (53 a.C.) che osserva ieratico dall’alto la Via Tuscolana. Questa stessa strada costeggia un’ampia area circondata da una recinzione in ferro, di colore verde, situata sulla sinistra. Fino a diversi anni fa il cancello d’accesso era spalancato e si poteva entrare senza sotterfugi, oggi la situazione è complicata da un grosso lucchetto.
In una dei miei vagabondaggi per il Tuscolo, mi ritrovai qui a fare i conti con una serie di ruderi sui quali non avevo alcun indizio. Una suggestiva scalinata sostenuta da una radice d’acacia, un imbuto nella terra “foderato” di opus reticulatum, mura, resti di edifici parzialmente crollati. Tutto semidivorato dalla terra, dal muschio e dalle rampicanti. Curiosai in giro un po’ ovunque, mi infilai in tutti gli anfratti, ma sostanzialmente non avevo idea di dove fossi capitata. Lo scoprii quasi 10 anni dopo: si trattava dell’autentico anfiteatro del Tuscolo.
Il dissotterramento dell’anfiteatro romano di Tusculum -noto agli antichi come Scuola di Cicerone- non è mai stato del tutto completato: dopo i primi lavori Cinquecenteschi a opera di Antonio da Sangallo il Giovane, gli accessi principali furono scavati nel 1820 ed il restante fu scavato nel 1867. L’impianto misura 80 metri per 53, la cavea 47 metri per 29: la portata era di circa 3.000 spettatori e serviva alle necessità ludiche di Tusculum e dei villaggi circostanti.
Per avere un’idea della grandezza di questa struttura, dobbiamo pensare che l’Anfiteatro Flavio (il Colosseo) poteva contenere fino a 50.000 persone: le dimensioni, pertanto, non sono minimamente avvicinabili. Ci accostiamo leggermente di più prendendo come punto di riferimento il vicino (nonché coevo) Anfiteatro Severiano di Albano, con la sua cavea da 16.000 spettatori o, ancora meglio, l’Anfiteatro di Sutri, con una capacità di 9.000 spettatori. Insomma, immaginiamoci complessivamente un piccolo anfiteatro delle dimensioni leggermente inferiori di un campo da calcio.
La parte inferiore dell’edificio è costruita in opera quadrata a blocchetti di peperino, la parte superiore in opera mista di reticolato a mattoni. I bolli consentono la datazione della struttura al II secolo d.C.
A differenza del teatro, destinato a rappresentazioni e spettacoli teatrali, l’anfiteatro ospitava i combattimenti tra gladiatori e fiere o esibizioni dei ginnasti. In sostanza, quei cunicoli odorosi di umidità e terriccio ora custoditi nei boschi, hanno rappresentato -per lottatori e bestie esotiche- l’ultimo passaggio verso un destino fatale. Lo spesso strato di terra e erba che ora campeggia nello spazio dell’arena un tempo raccoglieva sabbia e sangue. In virtù delle basi ancora ben visibili delle colonne, si ipotizza che in alto fosse presente un porticato e si narra che fino all’800 fossero ancora visibili agli archeologi gli ambienti in cui erano rinchiuse le belve.

Le mura poligonali di Tusculum


L’anfiteatro sfruttava l’opportunità offerta dal bacino sommitale di una vallecola, sulla dorsale settentrionale di questa si trovano altri edifici, ville o impianti termali, appena emergenti del sottobosco.
Proprio nei pressi dell’area a nord dell’anfiteatro troviamo due esempio residuali di mura poligonali, dette anche ciclopiche o pelasgiche, attribuite dagli studiosi alla moda arcaicizzante diffusa nell’Età Antonina (98-180 d.C). Tuttavia, questa tipologia di mura -la cui costruzione veniva attribuita da Aristotele a dei ciclopi dalla forza sovraumana – è diffusamente riscontrata nell’Italia centro-meridionale in associazione con culture fiorite quanto meno intorno al VIII-VII secolo a.C. e questo ci ricollega direttamente con la difficoltà nel datare altri manufatti di evidente origine non-latina ritrovati sul Tuscolo i quali, invece, ricordano fortemente la mano e le modalità di lavorare la roccia di matrice villanoviana ed etrusca (e, spingendoci ancora più in là con il tempo fino al IV-III millennio a.C., di derivazione rinaldoniana).
La presenza di mura poligonali, inoltre, accomuna un numero consistente di culture sparse in ogni angolo del globo, dall’Isola di Pasqua all’Australia, passando per il Perù (Machu Picchu e Cuzco), fino a diversi punti sparsi sul territorio italiano, quali Sicilia, Lazio, Abruzzo, Toscana. Questa caratteristica ha suggerito, al di fuori degli ambiti accademici, la teoria dell’esistenza di una civiltà remotissima di dominio globale, con tradizioni sociali e conoscenze tecniche comuni dallo Zenit al Nadir. Senza lanciarmi verso speculazioni troppo audaci dal punto di vista storico, personalmente ritengo che questa coincidenza sia più semplice da ricondurre a una matrice piscologica insita nell’essere umano, che ci porta a percorrere le stesse tappe di sviluppo con tempi diversi, in base alle caratteristiche dei luoghi in cui si sono sviluppate le diverse civiltà.

Il futuro dell’anfiteatro del Tuscolo


Come detto fin dall’inizio, il Tuscolo ha un versante che gode di piena luce e un altro costituito brulicante oscurità. L’anfiteatro del Tuscolo si colloca nel crepuscolo. Gran parte della sua struttura giace ancora sepolta nella terra e sorge spontaneo domandarsi quale sia il futuro di questo luogo, se verrà mai riqualificato e se sarà oggetto di studi come l’acropoli, come il teatro. Se verrà mai messo in sicurezza, se sarà tutelato. Perché, per quanto sia suggestiva l’immagine di queste mura avviluppate in un manto di vegetazione, la realtà dei fatti sgretola pietra e tufo giorno dopo giorno in maniera inesorabile.
Ma la domanda autentica, in realtà, è anche un’altra: laddove questo posto fosse sottoposto a scavi e recupero, ci consentirete di godere di prima mano delle storia che l’arena ha da narrare? Ci consentirete di entrare ancora in contatto con l’anima, con il genius loci, del luogo?
Perché questo è quanto abbiamo visto accadere più volte sul nostro territorio: siti archeologici in stato di abbandono da millenni vengono finalmente resi oggetto di campagne di scavi, sono riqualificati, riportati alla luce e ripuliti solo per essere rinchiusi oltre cancellate e inferriate che deturpano il paesaggio, resi inaccessibili al pubblico, posti ancora più in esposizione rispetto allo scorrere del tempo e alle intemperie e infine abbandonati una seconda volta. Ogni volta che si confina l’antichità, che la si addomestica, che la si scolla dal suo ambiente naturale, si provoca anche una scissione affettiva del Passato dagli esseri umani che con il territorio, con quello spazio, hanno un legame intimo. Questa separazione è conciliabile solo laddove vi sia un effettivo beneficio per il reperto e per la collettività, laddove vi sia valorizzazione e condivisione, laddove sia garantita la continuità del rapporto fra popolazione e lucus.
Se la scelta è lasciare che queste mura siano divorate dal bosco o farle soffocare oppresse da tela cerata, strappandole a coloro che di tanto in tanto vengono a porgergli omaggio, mi rispondo che le navi di Caligola avrebbero avuto fine più dignitosa marcendo sul fondo del lago sacro a Diana piuttosto che perendo fra le fiamme, racchiuse in un asettico hangar di cemento.

Alessandra di Nemora

Fonti e riferimenti:

  • Tuscolo – Guida ai monumenti e al panorama (Raimondo del Nero; 1994)
  • https://www.romanoimpero.com/2010/02/tuscolo.html
  • https://www.hurricane.it/castelliromani/tuscolo.html
  • https://it.wikipedia.org/wiki/Tusculum#L’anfiteatro
  • https://www.terradegliuomini.com/civilta-megalitiche-del-mediterraneo-e-del-sudamerica.html