Il 10 gennaio 1963, acquistando l’edizione giornaliera de Il Messaggero, avreste potuto leggere il seguente annuncio nella sezione “Antichità oggetti d’arte e libri”:
Affresco del 20 dopo Cristo raffigurante Dio Mitra vendo ad amatore.
L’inserzione era opera del signor Vincenzo Zoffoli, impiegato delle Ferrovie dello Stato, che appena un anno prima aveva dato il via a degli scavi per realizzare una cantina sul terreno di sua proprietà, nei pressi della stazione di Marino.
Il ritrovamento del Mitreo di Marino
Nel corso dei lavori di scavo Zoffoli era incappato in un’incredibile scoperta: un lungo corridoio sotterraneo, di circa 26 metri, che conduceva presso un altare. Sul fondo era raffigurato un giovane uomo, abbigliato con una tunica rossa, nell’atto di uccidere un toro.
Vincenzo Zoffoli cercava un luogo per custodire la sua produzione vinicola e invece il suolo gli aveva restituito uno dei mitrei meglio conservati al mondo.
Il proprietario del terreno, però, non comunicò il rinvenimento alle autorità competenti: si limitò a svuotare lo spazio di quanto contenuto e proseguì con il suo progetto, stipando botti e bottiglie all’interno del luogo sacro.
Il caso volle che nel febbraio del 1963 un giornalista del medesimo quotidiano su cui era stato pubblicato l’annuncio, avesse visitato la cantina/mitreo di Marino per acquistare i vini prodotti dal signor Zoffoli. Accortosi della figura di Mitra affrescata nel sotterraneo, il reporter gli dedicò un articolo intitolato “Un tempio di Mithra nella cantina di un vinaio – Importante ritrovamento avvenuto in questi giorni” l’indomani. Agli occhi delle autorità risultò lampante la “coincidenza” fra la proposta di vendita comparsa un mese prima e la notizia riportata fra le pagine de Il Messaggero e questo diede il via alle prassi di messa in sicurezza del ritrovamento archeologico.
Mitra, un dio persiano a Roma
L’Età Imperiale di Roma è stata testimone di un notevole sincretismo religioso. Nell’Urbe venivano praticati un infinità di culti religiosi di origini differenti, provenienti da ogni terra conosciuta. Fra le forme più diffuse troviamo le pratiche di origine egizia, celebrate dalle stesso Caligola nell’area dei Castelli Romani, sul lago di Nemi, a bordo delle imponenti navi tempio dedicate a Iside.
Non solo, a Roma avevano attecchito di culti di origine nordica, come il druidismo, o asiatica. Ed è proprio fra quest’ultimi che spicca il mitraismo.
Il culto di Mitra ha origine nello Zoroastrismo, radicato regioni iraniche e dell’Asia centrale tra il VI secolo a.C. e il X secolo d.C. e incentrato su una concezione dualistica dell’Universo, nella quale si identifica l’esistenza di due Spiriti primi, il Bene e il Male, portatori rispettivamente di Verità e la Menzogna. In questo quadro si inserisce la figura di Ahura Mazdah, progenitore di entrambi gli Spiriti -Spenta Mainyu e Angra Mainyu, gemelli e opposti- e Padre ordinatore.
Mitra, nel mito originale, ricopriva il ruolo di semplice servitore della divinità persiana Ahura-Mazdah, ma nel corso dei secoli fu oggetto di una traslazione fortunata che lo rese il fulcro del culto misterico che si innestò nell’Impero Romano nel I secolo a.C., portato dalle legioni di ritorno dalle campagne d’Oriente.
Le prime notazioni su Mitra le troviamo nei più antichi testi sacri dell’Asia Centrale, quali l’Avesta iranico e i Veda indiani, ma questa divinità assumerà in Mespotamia i connotati cosmogonici con cui sarà noto a Roma.
Mitra, da umile soldato di Ahura-Mazda, diventa la scintilla primigenia che innesca le forze generatrici mediante l’uccisione del toro selenico (ovvero di natura lunare) il quale, versando il suo sangue, sparge il principio vitale nel cosmo. Il suo culto, perciò, si separa dalla matrice originaria dello Zoroastrismo e prende un corso proprio e indipendente.
Fra esoterismo e marzialità
Il mitraismo si diffonde in maniera nel tessuto religioso romano,reso già fertile dall’apertura del pantheon a divinità quali Serapide, Iside e Osiride, sovrapponendosi alle tradizioni preesistenti, in particolare al Sol Invictus. Lo stampo esoterico del mitraismo lo rese particolarmente appetibile nell’esercito, fra le cui file di diffuse in maniera endemica, al punto che i gradi tradizionali di iniziazione ai misteri di Mitra vennero strutturati secondo i ranghi militareschi e l’avanzamento lungo i sette stadi iniziatici era dettato da prove di coraggio di stampo marziale.
Il mitraismo prometteva la vita ultraterrena ai suoi adepti: combattere e morire nel segno di Mitra significava guadagnarsi un passaggio verso l’eternità.
Il pinnacolo del culto mitraico coincise con l’entrata nella scena di un’altra importante corrente religiosa, la quale cambierà per sempre l’impronta religiosa dell’Occidente: il Cristianesimo.
Il mitraismo e il Cristianesimo condividevano, in realtà, una serie di elementi: la nascita di entrambe le figure è anticipata da eventi prodigiosi, ambedue i culti prevedono un battesimo e una cresima, diavoli e angeli sono immagini ricorrenti nelle due dottrine. Mitra in Cristo, inoltre, presentano il medesimo dies natalis, ovvero il 25 dicembre. Quest’ultima occorrenza è facilmente spiegabile con una sovrapposizione congiunta delle due tradizioni al Sol Invictus autoctono, celebrato in quella specifica data così cara agli antichi per onorare la rinascita del sole dopo il periodo di massima oscurità dell’anno.
Mitra e Cristo hanno convissuto e si sono scontrati sul suolo di Roma, finché il primo non dovette soccombere alla potenza della nuova religione (o meglio, estinguersi in essa).
Struttura e simbologia dei mitrei
Il culto mitraico era celebrato all’interno di appositi ambienti, detti mitrei, e i rituali erano animati da congreghe composte da circa una dozzina di persone. Questi spazi sacri erano allestiti all’interno di caverne naturali, in sotterranei appositamente scavati nella roccia, oppure in edifici oscuri e privi di finestre. Spesso il mitreo era ricavato al di sotto di strutte già esistenti e adibite a un culto diverso. Curiosamente, tuttavia, uno dei mitrei più celebri d Roma, ha subito un destino inverso: si trova, di fatti, sul fondo di una stratificazione costituita della chiesa paleocristiana e -ancora al di sopra-alla basilica di San Clemente al Laterano, edificate in epoca successiva proprio sul mitreo. Le aree destinate al mitraismo erano contraddistinte da un anticamera (vestibolo) dalla quale si accedeva verso il nucleo della caverna (spelaeum o spelunca), caratterizzata da una forma rettangolare. Lungo le pareti si trovavano lunghe panche, atte ad ospitare il banchetto rituale (agape), mentre sul fondo era situato l’altare, generalmente decorato con una raffigurazione di Mitra nell’atto di uccidere il toro selenico. In Italia sono solo tre i mitrei che presentano una rappresentazione integra della tauromachia mitriaca: oltre al Tempio di Marino, sono noti il Mitreo Barberini a Roma e il Mitreo di Santa Maria di Capua Vetere. Il soffitto veniva dipinto con un cielo stellato, con riproduzioni fedeli delle costellazioni e dello zodiaco.
Mitreo di Marino, il cosmo in una grotta
Il Mitreo di Marino venne ricavato adattando un’antica cisterna d’acqua, la cui struttura si prestava in maniera particolare a essere rimaneggiata.
La raffigurazione sul fondo della sala rispetta, nel soggetto, i canoni classici dei mitrei, immortalando la scena culmine in cui Mitra sgozza il toro bianco, dalla cui coda spuntano spighe di grano, simbolo della vita. Il volto del Dio è illuminato dal Sole, alle sue spalle spunta la Luna. Un cane e un serpente bevono il sangue spillante, un corvo nero (inviato del sole) vola nei pressi di Mitra, mentre uno scorpione afferra i testicoli della bestia morente.
Davanti all’affresco si trova un piccolo pilastro che reca l’incisione INVICTO DEO CRESCES ACTOR ALFI SEBERI D P, traducibile con “Cresces, amministratore di Alfio Severo, pose come dono al dio invitto“. Ai lati del corridoio sono visibili tracce di strutture lignee, probabili elementi di arredo e podia per gli adepti al culto misterico. All’ingresso della galleria sono raffigurati i due dadofori Cautes e Cautopates, rispettivamente con la fiaccola alzata e con la fiaccola abbassata.
Il Mitero di Marino, però, presenta una caratteristica unica per via di un elemento presente nel dipinto, risalente al II secolo d.C. Qui Mitra è vestito secondo lo stile orientale: indossa il caratteristico berretto frigio, una tunica e dei pantaloni rossi ed è adornato da un mantello.
Benché fosse consuetudine comune dipingere delle stelle sul mantello della divinità, queste in genere erano presenti nel numero di 7, metafora dei 7 gradi del percorso iniziatico e paradigma dei pianeti del sistema solare. Nell’affresco di Marino, invece, il manto è costellato punteggiato da un’infinità di piccole stelle ed è diviso a metà da una fascia, al di sopra della quale spiccano quattro stelle più grandi, disposte a quadrilatero, mentre al di sotto della linea divisoria si trovano tre stelle posizionate sulla stessa retta.
Le interpretazioni avanzate per contestualizzare questa raffigurazioni sono diverse. C’è chi sostiene semplicemente che i sette corpi celesti maggiori siano i tre gradi inferiori di iniziazione, sovrastati dai quattro gradi superiori. Tuttavia, emergono anche opinioni di natura archeoastronomica, come quelle avanzate da Franco Piperno e Angela Zavaglia.
Secondo l’ipotesi del Piperno, la composizione sul mantello di Mitra rappresenterebbe il Grande Carro, l’Equatore Celeste e la costellazione dei Gemelli. Questa lettura sarebbe avvalorata dalla perfetta sovrapposizione fra le stelle dipinte e la conformazione che il cielo assunse, secondo le ricostruzioni, la notte del 25 Dicembre del 200/208 a.C., il giorno in cui si celebrava -come già detto- la nascita di Mitra, in associazione al Solstizio d’Inverno.
Secondo la Zavaglia, invece, questa porzione dell’affresco richiamerebbe la triade Orione – Via Lattea – Costellazione dei Gemelli e Saturno. La Via Lattea, nello specifico, aveva anticamente una grande rilevanza in quanto la dottrina pitagorica la identificava come sede di provenienza della anime. Quest’ultime, dopo aver trascorso il tempo stabilito sulla Terra, tornavano nel luogo originario percorrendo la strada celeste per intero.
La cvità in cui si avevano luogo rituali dedicati a Mitra era volta a ricostruire simbolicamente la grotta in cui il Dio trascinò il toro selenico dopo averlo catturato:
Il mito, secondo la ricostruzione fantasiosa di Cumont, racconta che Mitra affronta un giorno il dio Sole e lo sconfigge. Il Sole allora stringe un patto di alleanza con il dio che suggella donandogli la corona raggiata. In un’altra sua eroica impresa, Mitra cattura il Toro e lo conduce in una caverna. Ma il Toro fugge e il Sole, memore del patto fatto, se ne accorge e manda al dio un corvo quale suo messaggero con il consiglio di ucciderlo. Grazie all’aiuto di un cane, Mitra raggiunge il Toro, lo afferra per le froge e gli pianta un coltello nel fianco. Allora dal corpo del toro nascono tutte le piante benefiche per l’uomo e in particolare dal midollo nasce il grano e dal sangue la vite. Ma Ahriman, il Dio del Male, invia un serpente e uno scorpione per contrastare questa profusione di vita. Lo scorpione cerca di ferire i testicoli del toro mentre il serpente ne beve il sangue, ma invano. Alla fine il Toro ascende alla Luna dando così origine a tutte le specie animali. Mitra e il Sole suggellano la vittoria con un pasto che rimarrà nel culto sotto il nome di agape.
I mitrei, in sostanza, rappresentavano il movimento primo della nascita del Cosmo, sono delle macchine per l’origine degli esseri senzienti. Dei piccoli big bang ipogei.
Dei luoghi oscuri in cui la vita si agita, custodita gelosamente, in attesa di essere innescata.
Alessandra di Nemora
Fonti utilizzate per la redazione del contenuto:
- https://it.wikipedia.org/wiki/Mitreo_di_Marino
- http://noicambiamo.it/news/2017/04/13/mitreo-marino-storia-lunga-55-anni-parte/
- https://www.alssa.it/Documenti/Seminari/17/10_-_Il_cielo_nel_Mitreo_di_Marino__Roma_.pdf