Mausoleo di Monte dell’Incastro, il piccolo Pantheon sepolto

Scavalcato il Solstizio d’Inverno, il cielo assume dei connotati così vividi da spezzare il cuore: è iniziata la marcia verso la Primavera. Il sole risorge potente, albe e tramonti si tingono di luci velate da tragica bellezza, di ansiosa anticipazione.
Ed è questa l’atmosfera in cui, strisciando, ho fatto il mio primo ingresso nel Mausoleo di Monte dell’incastro.

Ho già parlato delle meraviglie nascoste nel Parco naturale-archeologico dell’Inviolata in occasione del mio articolo sul Mitreo di San Nicola, situato nella frazione di Guidonia di Marco Simone.
Nel momento in cui scrivevo del mitreo, però, non avevo idea che a circa due chilometri di distanza avrei potuto trovare un’altra sorpresa archeologia ipogea altrettanto entusiasmante.

 

Il dromos d’ingresso

Il punto esatto in cui si trova il Mausoleo di Monte dell’Incastro è facilmente rintracciabile su Google Maps. Tuttavia, trovare l’imbocco del lungo dromos che conduce alla camera sepolcrale non è così semplice. Ci si trova proiettati a capofitto nel verde adamantino che si dispiega davanti ai propri occhi, al centro del quale spunta un’enfiagione nel terreno, sormontata da frasche e alberi a basso fusto.
Esattamente quello di cui abbiamo bisogno per indovinare la presenza di un ambiente sotterraneo: un’anomalia nella regolarità del paesaggio.

Avvicinandosi si incomincia ad esplorare con gli occhi il groviglio di vegetazione, cercando di districare rami, rovi e foglie al fine di individuare una possibile entrata. Si gira attorno al perimetro dell’area e, infine, l’occhio cade su un elemento ricorsivo più volte presente all’imbocco di camere ipogee: un albero di fico. Abbiamo trovato il dromos.
Ci accucciamo e illuminiamo l’ingresso, facendo luce su un lungo corridoio scuro, del quale non si scorge la fine.
Ai lati, mucchi di ossa di animali. Non molto invitante come inizio, ma la curiosità -infine- ha la meglio.
Dopo un primo tratto discretamente agevole, il dromos -che anticamente aveva la funzione di fornire ai vivi un portale di accesso nel Regno dei Morti- si fa angusto e ostico da percorrere, a causa di un crollo sulla parete di sinistra. La denominazione di “Monte dell’Incastro” prende il nome proprio dalle difficoltà da affrontare nel superare questa strettoia.
Oltrepassato questo punto, però, è tutto in discesa. L’abilità dei romani nel costruire gallerie e infrastrutture non ha lasciato dubbi circa la ragione per cui il dromos non segua un andamento rettilineo: probabilmente la volontà era quella di non far filtrare la luce dall’esterno all’interno del Mausoleo. Uno spiraglio di luce appare sul fondo della gallerie, l’aria si fa più ossigenata, una leggera corrente vibra fra le pareti in opus mixtum dilaniate dalle radici.
Ancora pochi passi e l’attesa sarà finita.

La camera ipogea

Alzando la testa si viene sovrastati da un senso di magnificenza spoglia, di grandiosità che non necessita di orpelli od opulenza per essere esaltata. Si è circondati da terra umida e roccia, eppure ci si sente protetti e al sicuro. Sit tibi terra levis, “Ti sia lieve la terra”, ora assume un senso compiuto.
La costruzione del Mausoleo di Monte dell’Incastro risale all’incirca al I-II d.C. (età adrianea) ed è costituito da una camera circolare e una grande cupola al centro del quale spicca un oculus centrale. Lateralmente spiccano due absidi, decorate con tessere di mosaico in pasta vitrea e marmo serpentino. Questa conformazione lo rende del tutto affine al celebre Pantheon, con il quale condivide anche il periodo di realizzazione. Tuttavia, nonostante la somiglianza, i due edifici ebbero destinazioni d’uso decisamente diverse: il Pantheon funse da tempio dedicato a tutte le divinità passate, presenti e future, mentre il Mausoleo di Guidonia Montecelio doveva rappresentare l’eterna dimora di un potente personaggio affiliato al culto di ercole. Anticamente, di fatti, la camera ospitava un altare con un altorilievo rappresentante Ercole defunto, conservato -a partire dal 1927- nel Museo Nazionale Romano.
Sulle parete è possibile notare la presenza di alcuni fori con disposizione irregolare, probabilmente vestigia di incassi per delle mensole di alloggiamento.
L’aspetto più affascinante riguarda proprio il rapporto fra l’oculus e queste mensole perdute: sembra che in alcuni periodi dell’anno questa porzione di parete viene illuminata dalla luce del sole che filtra attraverso il lucernario. Non ho (ancora) avuto modo di verificare di persona in quali momenti cosmici prenda vita questo fenomeno, tuttavia non sarebbe inedito scoprire che combaci con una delle cuspidi stagionali degli equinozi o dei solstizi, da sempre legati simbolicamente a fasi di passaggio verso la rinascita o la morte. D’altro canto, non sono rari gli edifici realizzati nell’Antica Roma che rispettano e onorano l’orientamento verso tramonti o albe solstiziali o equinoziali, come ad esempio il Mausoleo degli Equinozi (situato fra il III e IV miglio dell’Appia antica) e la Torre di Roccabruna di Villa Adriana, localizzata a Tivoli, piuttosto vicino rispetto a Guidonia.
Purtroppo, non ci è dato sapere con certezza cosa illuminassero i raggi del Sole nel Mausoleo di Monte dell’Incastro. Forse l’urna con le ceneri del defunto. Forse qualche altro mistero racchiuso in questo piccolo Pantheon sepolto.

Alessandra di Nemora

Linkografia:

  • https://www.sotterraneidiroma.it/sites/mausoleo-di-monte-dell-Incastro
  • http://www.luigiplos.it/mausoleo-monte-dellincastro/
  • http://www.archeologialazio.beniculturali.it/getFile.php?id=1274

Si cita come fonte, inoltre, il volume sulle meraviglie nascoste nella provincia di Roma edito dal Gruppo Archeotrekking Romani .