Forse era Lao-zi, forse si trattava di Zhuang-zi, non ricordo esattamente.
Una decina di anni fa lessi in testo di filosofia orientale questa affermazione di uno dei più grandi maestri taoisti: il regnante illuminato deve svuotare le menti e riempire i ventri del popolo.
Questa affermazione mi lasciò talmente perplessa da ritornare di tanto in tanto ad affacciarsi ciclicamente nei miei pensieri a distanza di giorni, settimane, mesi e infine anni. Mi sembrava una istigazione al panem et circenses, uno sprono alla demagogia. La mia confusione derivava dal leggere un consiglio simile proprio da un saggio dal pensiero così evoluto e che si supponeva sapesse quale fosse la Via migliore da seguire nella vita.
Per tanto tempo mi sono rigirata questo pensiero per la mente, cercando di capire. Il Taosimo promuove il ritorno all’Uno, alla naturalezza “priva di sforzi”. Un letterale ritorno alla vita embrionale, in cui non si è traviati dai condizionamenti nei quali inevitabilmente si incappa nel corso del processo di crescita nella società.
Il Maestro Taoista si abbandona al flusso delle cose, si lascia trasportare, privo di ansie e coercizioni.
Ambizione, rabbia, superbia, avidità, passioni incontrollate. Anche il Buddhismo, illustre “vicino di casa” del Taoismo, individua nel Desiderio l’origine di ogni malessere umano, la radice di tutte le sofferenze.
Lao-zi, il massimo esponente della filosofia Taoista, espresse bene questo concetto utilizzando un semplice paradigma:
“Ecco come bisogna essere: bisogna essere come l’acqua. Niente ostacoli – essa scorre. Trova una diga, allora si ferma. La diga si spezza, scorre di nuovo. In un recipiente quadrato, è quadrata. In uno tondo, è rotonda. Ecco perché è più indispensabile di ogni altra cosa. Niente esiste al mondo di più adattabile dell’acqua. E tuttavia quando cade sul suolo, persistendo, niente può essere più forte di lei.”
L’accettazione serena del cambiamento. La cedevolezza, ma non la passività. Astenersi dal forzare il corso degli eventi. Laddove lo yin e lo yang fluiscono liberamente c’è creazione, c’è generazione. Laddove Disgregazione e Rinascita mutano una nell’altro senza soluzione di continuità, c’è il Tao.
Ma perché svuotare le menti e riempire i ventri dovrebbe essere un atto nobile?
Tempo Perso
Prima di tutto, ci tengo a specificare che quanto segue è scevro da qualsiasi taglio politico rispetto alle misure intraprese dal Governo italiano per combattere il Covid-19. Il periodo storico in cui stiamo vivendo rappresenta un unicum nella storia contemporanea e questi giorni in cui le libertà personali e il libero arbitrio di ognuno sono fortemente schiacciati. Questa condizione è sgradevole per tutti. Non vediamo l’ora di riprendere in mano le nostre routine, abbiamo nostalgia persino del traffico in Tangenziale.
Siamo ansiosi di poter ricominciare a spendere il nostro tempo libero nel modo che più ci piace, di andare ovunque, di vedere chi vogliamo. Oppure di stare finalmente da soli dopo settimane di convivenza forzata.
Osservando in modo scientifico questa condizione dall’esterno, l’aspetto più interessante che emerge è proprio questa limitatezza di scelta che abbiamo a disposizione. Per la prima volta dopo centinaia di anni, la nostra unità di misura ritorna ad essere lo spazio domestico. Il raggio d’azione massimo, per gran parte di noi, è quello delle nostre braccia e delle nostre gambe.
Ma soprattutto, siamo privati di una bella fetta del nostro libero arbitrio. La maggior parte degli italiani, in questo momento, lamenta noia, senso di soffocamento e costrizione, oltre a una naturale preoccupazione per il futuro. In questa sede, però, vorrei mettere da parte il futuro per concentrarmi sul presente.
Hic et nunc, “qui ed ora”, in un richiamo fra la cultura latina e le parole dello Zen. Per noi, adesso, non c’è che un presente dilatato da riempire. Molti, in seguito all’entrata in vigore delle norme restrittive, dopo anni di reclusione volontaria in casa a base di binge watching hanno riscoperto in loro un intenso desiderio di uscire.
Improvvisamente le voglie di correre in libertà, di fare lunghe passeggiate, di giocare in strada sono tornate a farsi largo nella mente delle persone. È facile ironizzare su questo paradosso, ma la realtà è che siamo legittimati a impiegare superficialmente -e perché no, anche a sprecare- il nostro tempo fintantoché abbiamo comunque la potenzialità di esercitare il libero arbitrio. Quando quest’ultimo ci viene negato, il desiderio di raggiungere tutte le potenzialità non sfruttate si fa più vivo che mai.
Ora non c’è più alcun bivio, non c’è voglia estemporanea che possa essere soddisfatta. Il tempo è più ciclico che mai, le giornate sono orizzonti piatti in cui il sole tramonta sempre alle spalle.
Siamo privati di molti stimoli e i pochi stimoli che ci arrivano, gli input all’azione, sono castrati sul nascere. Le uniche potenzialità che si possono esprimere hanno le dimensioni delle mura in cui soggiorniamo da un mese. È l’ansia l’emozione di punta che ci erode in questi giorni, la sensazione che abbiano sottratto uno scopo ai nostri giorni. Dormiamo, ci procuriamo più o meno faticosamente delle provviste, mangiamo, oziamo. Esattamente la maniera in cui l’uomo cacciatore-raccoglitore era progettato per vivere prima dell’avvento della società agricola, circa 12.500 anni fa.
E nel 10.000 a.C. non c’erano le serie TV in streaming per passare il tempo, né Skype per contattare gli amici lontani. Certo, vivevamo in gruppi di circa 100 individui, la compagnia di sicuro non mancava e avevamo accanto ogni giorno i nostri cari, ma una volta soddisfatti i bisogni fisici di base, l’essere umano aveva compiuto la sua missione ed era pacificato.
“Svuotare le menti e riempire i ventri”, sotto questo punto di vista, non sembra più un concetto così demagogico, quanto piuttosto un semplice ritorno alle radici originali della specie.
Gli Abiti del Male
L’evoluzione della collettività ci ha portato ad affinare una serie di idiosincrasie molto accentuate in noi Sapiens che sono definibili come dei veri e propri doni-caduta. Queste caratteristiche sono riassunte perfettamente nei Sette Vizi Capitali, quelli che Aristotele definì elegantemente “gli abiti del male”:
- Superbia;
- Avarizia;
- Lussuria;
- Invidia;
- Gola;
- Ira;
- Accidia.
Questi non sono altro che il lato B di virtù che per eccesso si tramutano in aberrazioni. Ogni avanzamento tecnologico, scientifico, ogni espressione artistica è inevitabilmente impastata con una di queste distorsioni dell’Ego, che da una parte hanno prodotto distruzione e sofferenza, dall’altra hanno generato una civiltà raffinata e in grado (anche) di grandi gesti di compassione.
Sottrai all’essere umano i desideri nati dai suoi Vizi Capitali e hai un essere triviale, rude, sostanzialmente puro, spontaneo, analfabeta e privo di capacità speculativa. Il detto popolare “beata ignoranza” non è nato per caso: appare piuttosto lampante che gli inconsapevoli siano spesso i più sereni. La finezza d’intelletto, la ricerca, nobilitano l’umanità ma non la rendono felice.
Adamo ed Eva conducevano un’esistenza radiosa nel giardino dell’Eden fintantoché non hanno mangiato il frutto proibito, scoprendo l’esistenza del bene e del male. Scoprendo quanto fosse grande il potere del libero arbitrio.
Svuota la mente di ogni artificio, vivi la giornata con naturalezza, riempi la pancia e hai un essere vivente in equilibrio. Questo era il senso di fondo di quel messaggio letto tanto tempo prima.
Rivoluzione Passiva
Molti, non solo gli intellettuali, troverebbero deprimente l’idea di dover vivere solo allo scopo di soddisfare i propri bisogni primari, ma a conti fatti è quello che più o meno siamo costretti a fare proprio ora.
Consumiamo tonnellate di gigabyte di film e serie TV in streaming, riempiamo le ore chattando e videochiamandoci l’un l’altro, osservando video di azioni compiute da altri, leggendo storie di fantasia. Cerchiamo di riempire -come gas nobili- tutto il tempo vuoto a disposizione, costipandolo di proiezioni verso uno spazio “altro”, verso una dimensione che non esiste fisicamente.
Abbiamo la necessità viscerale di trovare una soluzione per intrattenere noi stessi, per distrarci dall’idea che le nostre giornate non avranno un senso fino a tempo indeterminato, per continuare a indossare i nostri sette abiti del male, soprattutto attraverso dei viatici che non fanno altro che astrarci dal nostro presente. Come se proprio l’esercizio del libero arbitrio, o meglio come se la potenzialità di esercitare il proprio libero arbitrio, fosse l’unico modo per nobilitarsi ed elevare se stessi.
“La felicità sta nell’assenza della lotta per la felicità” è una delle massime più celebri di Zhuang-zi.
A distanza di oltre 2.000 anni, queste parole restano provocatorie e sconcertanti come suonavano alle orecchie dei suoi contemporanei del IV secolo a.C.
Il vero atto rivoluzionario, oggi e in questo momento, è affermare “io non sento il dovere di intrattenermi”. Io non voglio distrarmi. È liberarsi dal peso delle aspettative sociali e dalle nostre ambizioni dolorose. È abbracciare questo senso di vuoto. È provare a sperimentare realmente il presente privo di sofisticazioni. È concentrarsi su quello che possiamo raggiungere alla distanza di un braccio. È tornare a vivere sensorialmente. È non doversi più angosciare nello sforzo di dare uno scopo ai giorni, perché sono già compiuti nella nostra stessa esistenza. È non logorarsi più nel tentativo di “aggiungere vita alla vita”.
Alessandra di Nemora