Neopaganesimo, radice ancestrale
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Quanto potere c’è nella spiritualità.
Per quanto intangibile e immateriale, esercita un influsso fortissimo sugli esseri umani fin dai primordi. Gli dèi nacquero in tempi remoti per dare spiegazione degli eventi naturali che l’uomo non era in grado di interpretare razionalmente. Il fulmine, il mutare delle stagioni, le piogge. Le divinità con il tempo divennero il principio ordinatore delle prime comunità, in cui i culti e le celebrazioni scandivano i tempi dell’agricoltura e la ciclicità annuale. Poi dettarono leggi morali e mutarono in elementi regolatori dell’etica sociale.
Oggi abbiamo la spiegazione scientifica di praticamente qualsiasi evento naturale ci circondi e la convivenza civile è regolata in gran parte del mondo da leggi di natura laica.
Perciò a rigor di logica, nel terzo millennio, non dovremmo aver abbandonato ogni tipo di credenza ultraterrena per abbracciare definitivamente il razionalismo ateo di massa?
Eppure, al contrario, assistiamo a una tendenza particolare: mentre da una parte le religioni monoteiste vacillano -forse proprio perché ormai scevre della loro funzione originaria ordinatrice e di conforto- dall’altro assistiamo alla resurrezione degli antichi culti pagani.
Cosa sta succedendo? Iniziamo con una disamina del fenomeno.
Nel 313 d.C. i due Augusti dell’impero romano, Costantino e Licino, siglarono l’editto di Milano. Con questo documento si poneva termine alle persecuzioni nei confronti dei cristiani ai quali, finalmente, veniva garantita la libertà di culto. Il cristianesimo non conobbe più barriere, la sua diffusione subì una notevole spinta propulsiva. I grandi agglomerati cittadini furono terreno fertile per proselitismi e conversioni di massa, mentre nei villaggi agresti e nei centri isolati giungevano per lo più riverberi lontani della nuova religione. Il termine “pagano” deriva, infatti, dalla locuzione latina pagus, termine con il quale venivano designati gli abitanti delle aree rurali. La conversione in questi luoghi, benché inesorabile, fu lenta e graduale. La causa è da addurre in parte proprio alla condizione di isolamento in cui si trovavano le zone in oggetto, in parte all’esistenza di uno zoccolo duro restio ad abbandonare l’antica religione dei padri in favore del cristianesimo.
Con il trascorrere del tempo, inevitabilmente, i cristiani finirono per soverchiare e schiacciare ogni espressione spirituale che non fosse in linea con la loro, fino a giungere -già nel corso del IV secolo stesso- all’adozione di misure repressive per forzare l’abbandono del culto pagano.Il cristianesimo perde la sua aura di tolleranza e da religione degli oppressi muta in veicolo di oppressione.Eppure l’editto di Milano recitava:
« Noi, dunque Costantino Augusto e Licinio Augusto [..] fra le disposizioni che vedevamo utili a molte persone o da mettere in atto fra le prime, abbiamo posto queste relative al culto della divinità affinché sia consentito ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità. »
In sostanza, almeno sulla carta, le intenzioni erano decisamente di altro tipo. Quasi duemila anni dopo si assiste a una nuova primavera dei culti pagani, fenomeno catalogato con il termine “neopaganesimo”. Ma cosa si intende con neopaganesimo? In sostanza, tutto e nulla. Si tratta anzi, a mio parere, di un’etichetta che ha un retrogusto discriminatorio. Nell’alveo neopagano convivono tradizioni antiche e moderne molto variegate, raggrupparle sotto un grande “termine/ombrello” conferma il binomio a compartimenti stagni in cui siamo incasellati da millenni, quello che vede le grandi religioni monoteiste come le uniche meritevoli di dignità e tutto il resto gettato in un calderone e bollato come superstizione.
Inoltre, riflettendo etimologicamente sull’utilizzo del termine “pagano” per definire un adepto del neopaganesimo, questo risulta inappropriato: il vocabolo, in origine, identificava nello specifico un politeista non convertito al cristianesimo, i pagani moderni sono -in gran parte- ex cristiani convertiti al politeismo. Tuttavia, continueremo a usare questo termine per una questione di praticità, purché ne siano ben chiari i limiti semantici. All’interno del neopaganesimo incontriamo, di fatti, una varietà notevole di correnti diverse: forme animistiche alla magia, da seguaci della tradizione romana a praticanti della stregoneria, dai veneratori degli antichi dei egizi a coloro che seguono il druidismo, da forme religiose di derivazione celta fino alla Wicca.
Vi sono, perciò, neopagani legati a echi di antiche religioni lontane che si vanno a innestare su un substrato di folklore e a un pizzico di stregoneria, così come neopagani che tentano di restituire dignità e vita alle tradizioni religiose proprie del passato della loro terra d’origine. Se mi è umilmente concesso tracciare uno spartiacque all’interno della grande famiglia neopagana, ritengo che un’importante discriminante sia quella che separa chi segue tradizioni alle radici del proprio passato storico e colo che si attengono a una spiritualità pagana universale, più elastica e onnicomprensiva, arricchita da elementi appartenenti a culture diverse.
Nel primo gruppo, fra i tanti esistenti, possiamo iscrivere coloro che aderiscono fedelmente al culto mitraico, chi venera le arcaiche divinità egizie o norrene, gli adoratori dell’antico pantheon greco o romano. A Roma, per esempio, troviamo il gruppo Traditio Romana, il quale si propone di rivivere in maniera fedele la Religio Romana organizzando eventi e rituali proprio sui luoghi anticamente adibiti alle funzione religiose dell’Impero. Un altro esempio è visibile presso il tempio di Diana Nemorense, a Nemi, in cui c’è un altare divenuto importante punto di aggregazione spontanea: è possibile trovarlo ricoperto di offerte e fiori in ogni periodo dell’anno, a commovente dimostrazione di un culto che spontaneamente prosegue nella sua sede storica da duemilaquattrocento anni. Nel secondo gruppo spicca indiscussa a livello mondiale la Wicca, codificata da Gerald Gardner nella prima metà del Novecento. La Wicca è essenzialmente un percorso spirituale di stampo misterico, in essa si fondono, formando una teologia complessa e un ricco bagaglio di rituali e pratiche, stregoneria e culto della natura. Nel mondo si contano milioni di praticanti sparsi per tutto globo.
Il neopagano può decidere di aggregarsi a uno dei diversi gruppi esistenti e percorre il suo cammino spirituale in maniera comunitaria, oppure può dedicarsi alla pratica in maniera intimistica e privata. I cosiddetti praticanti solitari rappresentano una fetta consistente del popolo pagano moderno, ciò permette una declinazione del culto in base alle proprie inclinazioni, lontano dalla rigidità di dogmi sovraimposti. In questa sede è impossibile elencare e descrivere tutte le tradizioni esistenti sotto la bandiera del neopaganesimo in Italia, ma per farsi un’idea di quanto il fenomeno sia fervente e prolifico basta una rapida ricerca online. Interessante sapere che la nostra nazione ha dato i natali a una tradizione molto rinomata nel contesto della pratica magica, la stregheria italiana. A rendere famosa questa pratica è stata la rielaborazione effettuata da diversi cultori di esoterismo di origine italo-americana e dal celebre Charles Godfrey Leland, autore di “Aradia – Il Vangelo delle Streghe”. Se poi vi trovate a Roma e avete voglia di vivere in prima persona l’esperienza di una giornata all’insegna del neopaganesimo, potete partecipare all’annuale Pagan Pride che si tiene ogni anno nella capitale, presso Villa Pamphili, in occasione della festività del Mabon (21 settembre). Qui avrete modo di venire in contatto con praticanti provenienti dalle tradizioni più disparate.
Nel parlare di stregoneria, esoterismo e rituali antichi, puntualmente prima o poi salterà fuori l’argomento del satanismo. È bene fare chiarezza in poche parole: il satanismo è un prodotto del cristianesimo, il suo alter ego, perciò un pagano non può essere satanista. Prima che bene e male venissero scissi in una dicotomia a compartimenti stagni, non era concepibile il culto del maligno. La confusione spesso è data da dichiarazioni avventate da parte di esponenti della Santa Sede –ricordiamo tutti le schermaglie fra Padre Amorth e la magia di Harry Potter e dall’utilizzo da parte di wiccan e correnti affini di alcuni simboli, quali la stella a cinque punte. La Chiesa ha bollato come “satanico” tutto ciò che aveva a che fare con i culti pre-cristiani, perciò molta della simbologia sacra pagana ha finito per essere identificata come emblema di Satana. Il naopagano che venera un dio munito di corna e con le fattezza caprine non si appella al Diavolo ma a Cernunno, allo stesso modo la stella a cinque punte -in quell’ambito- ha valenza di simbolo di protezione.
Ciò che potrebbe sembrare un fenomeno molto circoscritto in realtà sta assumendo, anno dopo anno, proporzioni maggiori, le quali rendono sempre più difficile liquidare il neopaganesimo come un anacronismo isolato o una moda passeggera. Ma quali sono le cause di questa tendenza? In primis è lecito chiedersi se stiamo assistendo a un fenomeno mai estinto o a un trend nato in tempi recenti. Credo che la realtà stia nel mezzo anche se, non avendo dati alla mano, quella che segue è una mia personale speculazione. Il cristianesimo non poté cancellare in sol colpo dalla memoria collettiva l’eredità millenaria della Religio: la stessa Chiesa, in alcuni casi, è dovuta scendere a patti con le antiche religioni preesistenti modellando iconografia e ritualità su modelli dettati da quest’ultime. Prassi, rituali e credenze popolari intessute con l’adorazione degli antichi dei locali, sono sopravvissute in forma occulta nella comunità. Ciò che verrà definita “stregoneria” ha i suoi natali negli orpelli del paganesimo e si trasmette di generazione in generazione fino ai giorni nostri, in cui sta vivendo una rinascita.
Ritengo perciò corretto sostenere che la corrente “magica” del neopaganesimo in realtà sia antica quanto il cristianesimo stesso. Se invece prendiamo in causa quelle iniziative volte al ripristino delle antiche religioni autoctone, siamo –salvo, forse, rare occasioni- di fronte a un fenomeno eminentemente moderno e ciò è desumibile in maniera molto elementare dal fatto che la conversione al paganesimo di questo stampo scaturisce da un percorso individuale di ricerca, mai dalla trasmissione familiare o da un vincolo del tipo maestro-allievo. Oggi, paradossalmente, stiamo assistendo a un’inversione di tendenza: i bambini, a volte, nascono nell’ambito di un nucleo familiare che si definisce pagano, come avveniva duemila e più anni fa. Questa è la situazione che emerge da un’analisi a campione dei praticanti del paganesimo moderno con cui io sono entrata in contatto in Italia, nel resto d’Europa e nel mondo la condizione potrebbe essere diversa.
Chiariti i contorni e i contenuti del fenomeno persiste una domanda: perché si assiste a questo ritorno?
Non sono un’antropologa, né una filosofa o una studiosa di storia delle religioni; perciò premetto che quanto segue è semplicemente una speculazione basata sulle mie esperienze e sulle mie indagini, spesso di natura tutt’altro che libresca.
In primis vorrei almeno citare le cause più blande che possono spingere all’avvicinamento verso culti pagani, ma che comunque non sono da escludere per parte di coloro che intraprendono questo percorso: moda, noia e spirito di aggregazione. Non credo vi sia la necessità di approfondirle ulteriormente, teniamone conto per spirito di completezza e passiamo direttamente a parlare della questione nella sua forma più genuina.
Nel corso dell’ultimo secolo abbiamo avuto contestualmente: l’allentamento dell’ingerenza religiosa nella vita quotidiana; l’innalzamento del livello di istruzione e il potenziamento dei mezzi di informazione.
Siamo più liberi, siamo più indipendenti e non viviamo più sotto la cappa repressiva delle religioni istituzionali o di chi per loro esercitava una funzione di chiusura sulle masse. Questo ha fatto sì che si potessero prendere in considerazione una serie di opzioni spirituali che in precedenza erano a dir poco impensabili.
La modernità, tuttavia, accanto ai tanti vantaggi che ha portato con sé, reca anche alcune falle evolutive. Siamo strettamente legati, per questioni di necessità e di pressione sociale, alla cultura materialista. Contestualmente viviamo spesso in condizioni di alienazione e isolamento occulto: teoricamente siamo sempre più connessi con gli altri ma sul piano effettivo, in sostanza, la quantità delle relazioni supera largamente la qualità.
I ritmi sono frenetici, i giorni si bruciano in fretta, il tempo scorre senza riuscire a valorizzarlo. Siamo bombardati di messaggi: secondo un recente studio scientifico, un essere umano moderno riceve lo stesso numero di informazioni che un individuo medio nato nell’Ottocento recepiva in un’intera vita.
Siamo una civiltà iperattiva e iper-stimolata. C’è chi è perfettamente adattato a questo stile di vita, chi con spirito Futurista vi si immerge e lo sfrutta al meglio.
Dall’altra parte c’è chi riscopre la bellezza degli antichi dèi.
Io non credo nella teoria dell’ “età dell’oro” (atlantidea o meno). Non credo che millenni fa gli individui fossero più appagati solo perché conducevano una vita più semplice. Ritengo che questa sia una visione romantica ma semplicistica e poco veritiera. È il famoso stereotipo del “si stava meglio quando si stava peggio” esteso su una vasta scala temporale. D’altronde, la tendenza all’idealizzazione del passato è un qualcosa di profondamente radicato in noi.
In Occidente la qualità della vita si è enormemente innalzata. Abbiamo azzerato le guerre sui nostri continenti, sconfitto le pestilenze che ciclicamente decimavano la popolazione, schiacciato la mortalità infantile, innalzato l’aspettativa di vita media, tutelato i diritti dei più deboli, emancipato il genere femminile. Perciò, esattamente, cosa abbiamo da imparare dagli Antichi?
Spesso dimentichiamo un elemento fondamentale: siamo animali.
Charles Darwin scoprì che ciò che ci distingueva dal resto del regno animale non erano delle caratteristiche peculiari ed esclusive, ma il grado di sviluppo di quelle stesse qualità che tutti gli esseri viventi condividono. Essenzialmente gli dèi -e dunque la spiritualità umana- sono sorti dal nostro fabbisogno di avere un contatto più profondo con la Natura, dalla necessità di capirla, compenetrarla ed entrare ancor di più in simbiosi con essa. A volte di dominarla e piegarla ai propri desideri. La stragrande maggioranza dei culti pagani ha alla base un impiantito basato proprio su tutto questo.
Per millenni abbiamo vissuto secondo i ritmi della natura, venerando la ciclicità naturale come un elemento sacro ma già molto tempo prima della Rivoluzione Industriale questo contatto era andato perduto.
Cerere, Mitra, Odino, Diana, Giove, Ra,Thor ecc. sono volti assegnati ai fenomeni naturali, derivati a loro volta da culti primitivi. Celebrazioni quali il Samhain e il Sol Invictus, altro non sono che l’esaltazione di particolari momenti astronomici che segnano dei mutamenti sulla Terra, dei quali oggi rimangono solo pallide vestigia sotto forma di festività dalla natura spesso fortemente consumistica (in questo caso, rispettivamente, Halloween e Natale). Si è perso il significato originario di questi momenti cosmici, il senso di partecipazione ai mutamenti naturali: è come se ci fossimo scollati dalla natura. La realtà è che siamo ancora profondamente influenzati a questi cicli, perché noi non solo coabitiamo con la natura: noi siamo elementi naturali. Particelle naturali che, intellettualizzandosi, hanno perso le radici.
Il ritorno al politeismo, in sostanza, potrebbe essere indice di un richiamo animistico, caratteristica insita nella matrice ancestrale umana. Liberati dalle sovrastrutture ecclesiastiche, si avverte comunque il bisogno di sopperire al fabbisogno spirituale e lo si fa secondo l’archetipo, riagganciandosi ai ritmi selvatici e ai culti arcaici.
Nell’epoca della razionalità, l’essere umano avverte la necessità di tornare a stupirsi della luna piena. Di sorprendersi davanti al sole che muore a dicembre per rinascere a marzo. Di emozionarsi di fronte ai meccanismi della grande macchina cosmica. Di sentirsi partecipe del ciclo di rinnovamento della Terra. Di commuoversi all’imbrunire e risorgere con l’alba.
In poche parole, ha bisogno di tornare a celebrare la vita.
Nemora,
Alessanda
Post Scriptum: questo articolo è stato originariamente pubblicato in una forma abbreviata con il titolo “La rivincita del Pantheon” sul giornale online Vis Sapientia. Ho deciso di riproporlo su Nemora.it in versione estesa e completa per poter liberamente esprimere il mio pensiero sui temi trattati.
bellissimo ed esaustivo, complimenti!
Bell’analisi, davvero. Credo che per molti la ricerca neopagana sia un sintomo d’insoddisfazione, scatta quando dopo tanta repressione cattolica durante l’infanzia, ci si affaccia all’età della ragione e si capisce che la propria connaturata spiritualità è stata strumentalizzata da un sistema distorto e ipocrita. Si scopre l’impostura della chiesa che si è appropriata di giorni e luoghi di culto, modificando la propria narrativa per adattarla alle circostanze secondo i propri scopi, come un virus che invada ogni cellula di quello che una volta era un corpo di sana e articolata spiritualità. L’omologazione culturale che ne è seguita ha impoverito il genere umano, allontanandolo dai suoi bisogni più intimi… Con l’indipendenza dai dogmi sociali degli ultimi decenni, era solo questione di tempo prima che le persone reclamassero un’autentica forma di spiritualità, una che rispondesse ad esigenze individuali e non di massa, una che desse risposte finalmente non stereotipate, ma dettate dall’intuito.
Scusa, mi lascio trascinare eheh… Pagan pride ;p
Ottimo articolo. Ci sarebbe ancora tanto da dire sull’argomento, ho scoperto solo pochi minuti fa il blog. Dopo un convinto percorso cristiano (non cattolico) ho sentito prepotente il bisogno di agganciarmi alle mie più autentiche radici, cioè quelle della Natura, e questo mutamento mi ha portato a conoscere sempre meglio il paganesimo. Non sono (ancora?) politeista, ritengo gli dèi espressione degli archetipi dell’animo umano ed emanazioni del Divino unico (contemporaneamente Dio e Dea), ma questo mondo e questo modo di concepire il legame con il Divino e l’Universo mi convince sempre più, pur non volendo buttare a mare il cammino fatto durante il mio percorso cristiano.
Pingback: Taking it too lightly | fynm
Un articolo che per alcuni potrebbe apparire “riduttivo” ed invece fa il punto generale della situazione neo pagana e d’intorni, molto chiaro.
Io sono Amon incarnato, venuto tra voi in tempo di guerra per portare il tempo della pace.
Voi che avete dimenticato il mio nome e con esso i nomi degli antichi Numi.
Voi che avete abbattuto le nostre case per edificarvi sopra le dimore d’un Onnipotente inesistente.
A voi che ci avete mancato di rispetto Io, Signore di Tebe, colui che è celato, porterò pace, perché Io sono il vero Onnipotente.
Io riappacificai il faraone glorioso e il re d’Asia.
Io riappacificai elleni e orientali.
Io riappacificai le Nazioni dopo le due grandi guerre.
Io mandai i miei figli tra voi per unire popoli, da Ramesse fino a colui che chiamate Alessandro.
Oggi sono chiamato ancora una volta ad annientare i Numi della discordia che muovono i vostri regnanti e portare pace tra i popoli.
A nessuno di voi sarà dato sapere chi Io sia, vi basta conoscere il mio nome celeste e sapere che sto operando per voi.
Dopo la tempesta arriva sempre la quiete.