Tuscolo, i misteri del promontorio meridionale

Una delle facoltà più potenti della mente umana è, indubbiamente, l’evocazione.
Evocare, dal latino “chiamare fuori”. O meglio, “chiamare fuori dal passato”. Rendere di nuovo vivo.
E se c’è un ambito in cui la capacità evocativa è esercitata in maniera intensa è proprio in relazione ai luoghi. Tornare in un luogo significa rivivere la somma di ricordi che vi si sono andati accumulando. Significa entrare in contatto con una sorta di personalità del luogo plasmata da vissuto e trascorsi.
Ma non solo. Recandosi presso un luogo dall’antica memoria, si può tentare di ricostruire mentalmente e provare a rendere di nuovo vivo il contesto storico. Ecco, il Monte Tuscolo è uno di quei luoghi dove spesso mi trovo a esercitare un’evocazione -che ha più del magico, dell’esoterico, che del mnemonico- nel tentativo di ricostruire il paesaggio così come era nel passato. E Tusculum è un luogo dall’anima ancestrale.
In particolare, ultimamente, mi sono soffermata a ricostruire mentalmente come dovesse apparire la Chiesa extraurbana situata sul promontorio posto a meridione, proprio sotto alla rocca di Tuscolo.

La collinetta a meridione


Questa collinetta è collocata in una posizione estremamente interessante: affacciata sulla Valle Latina, a controllo rispetto all’arteria di Via Tuscolana, nonché perfettamente allineate a sud con il Monte Cavo, antica dimora del tempio di Iuppiter Latiaris, il Giove Laziale sacro ai tempi della mitica Alba Longa. L’immaginazione si lascia tentare dal situare proprio qui un qualche edificio imponente, stagliato contro la sagoma di Monte Cavo e orientato con il fronte a Ovest, verso il sole morente.
Nel corso degli anni Novanta, a seguito delle ricognizioni topografiche condotte da Lorenzo Quilici e Stefania Quilici Gigli, emerse l’effettiva presenza di una struttura medievale proprio in questo sito. Ma non solo, al di sotto delle fondamenta medievali risulta evidente la pre-esistenza di una villa di epoca romana, situata al di fuori di quelle che all’epoca erano le mura della città.
Quanto emerso dalle indagini in situ (svolte dall’Università di La Rioja coordinata dal prof. Juan A. Santos e, successivamente, dalla prof.ssa Valeria Boalchini della Escuela Española de Historia y Arqueología en Roma) conferma quella che già era la ricostruzione della storia di Tusculum. Si trasmette, di fatti, una prima fase abitativa della dorsale vulcanica,  che va all’età del ferro (1.000 a.C circa) fino al V secolo d.C. La caduta dell’impero romano d’Occidente (476 d.C.) determina un periodo di instabilità che culminerà con l’abbandono della città.
Nel corso dell’alto Medioevo, X secolo d.C., sono i conti di Tuscolo a dare nuova vita a Tusculum. La potente famiglia stabilisce proprio sulla rocca (dove si trova la croce di vetta, per i più pratici del territorio) il loro quartier generale e nuova linfa vitale scorre nell’area precedentemente disabitata. È in questo periodo che, sul promontorio orientato a meridione, ha luogo la costruzione della Chiesa extraurbana.
L’abitato medioevale si installa fra le rovine dell’antica città, spesso con sfruttamento a scopo abitativo delle strutture funerarie rupestri presenti sul Tuscolo da secoli. Un esempio di questa occorrenza è data dalla Grotta del Teschio, che trovate immortalata nella prima immagine di questo articolo del 2017.
Ma questa seconda vita del Tuscolo non avrà lunga durata: le schermaglie fra i tuscolani e i Romani, che caratterizzeranno tutto il XII secolo, culmineranno con la distruzione dell’insediamento nel 1191 e il definitivo abbandono della città. Sul Tuscolo cala di nuovo il silenzio, la zona viene consacrata al pascolo e la natura si riappropria dei suoi spazi.

La Chiesa extraurbana e la necropoli medioevale

Quando gli scavi prendono avvio sulla collinetta situata al di sotto della rocca, poco interessata da indagini archeologiche -se si esclude un breve intervento di Luigi Canina nella prima metà dell’Ottocento- non c’è grande speranza nella possibilità di ritrovare intatti dei resti relativi al periodo medioevale.
Invece, eccola lì: una basilica a tre navate, con l’abside volta est e l’ingresso orientato verso l’ovest, costeggiata a settentrione e meridione da due porticati.

Fonte pianta: La chiesa extraurbana di Tuscolo. Prima ipotesi di identificazione – Valeria Beolchini

Attorno alla chiesa si sviluppò presto un’ampia area di sepoltura, le tombe più arcaiche si trovano proprio nell’area esterna rispetto all’abside e da qui man mano discendono verso ovest.
Ancora una volta, la disposizione rispetto ai punti cardinali gioca un ruolo fondamentale nella simbologia dei riti funebri: tutti i corpi rilevati sono stati inumati con la testa orientata verso ovest e i piedi verso est, come a instradare il defunto nel suo cammino verso il Cielo. Abbiamo parlato spesso di quanto sia complessa la logica di orientamento spaziale dei resti situati sul Tuscolo, per chi volesse approfondire riporto qui l’articolo Monte Tuscolo, morte e resurrezione.

Citiamo dal prezioso documento “La chiesa extraurbana di Tuscolo. Prime ipotesi di identificazione” della Professoressa Valeria Beolchini (fra i riferimenti bibliografici trovate il link per scaricare il documento completo in formato PDF) un passaggio che descrive le modalità di sepoltura adottate:

Generalmente gli arti superiori sono piegati sopra il petto o sopra l’addome e alcune parti del corpo -perlopiù la testa, il costato o i piedi- sono protette da piccole pietre e frammenti di tegole, anche se tali protezioni non arrivano mai a delimitare uno spazio chiuso o una fossa. Le inumazioni si presentano su più livelli sovrapposti fino a un massimo di tre, da cui si deduce che la necropoli ebbe un uso continuato nel tempo e che si rese necessario uno sfruttamento intensivo dello spazio. Nell’ultima fase d’uso della necropoli, quando ormai lo spazio disponibile era pressoché esaurito, fu necessario rimuovere le sepolture più antiche per fare spazio a quelle nuove e in tale occasione resti selezionati delle inumazioni rimosse vennero raccolti in piccoli ossari.

La chiesa fu costruita con materiale di recupero racimolato saccheggiando i resti di epoca classica, un po’ come avvenne anche per l’”arredamento” dello speco di San Michele Arcangelo di Nemi e per tante altre costruzioni medievali sparse sul territorio dei Castelli Romani.
Intono al 1125, la chiesa subisce una sostanziale opera di ampliamento e arricchimento che vedrà, però, il mantenimento della pianta originale a tre navate. L’abside viene distrutta e ricostruita 6 metri più a est e per mantenere in piano la base costruttiva viene creato un podio che funge da livella per la parte est dell’edificio. Questo nuovo assetto dona alla Chiesa un aspetto più imponente e la rende visibile per chi è intransito nella Via Latina.

Ruderi chiesa extraurbana del Monte Tuscolo
Nel corso dei lavori, vengono smantellate le fosse di inumazione antiche situate nell’area dell’abside, o meglio, furono smantellate tutte tranne due. I resti dei defunti sono emersi durante la campagna di scavo del 2015, proprio al di sotto del nuovo altare. Perché solo queste tombe furono conservate? Forse per via dello status sociale di cui godevano i defunti, tuttavia non abbiamo ereditato nessun indizio che suggerisca l’identità dei due personaggi. In ogni caso, attorno alla nuova abside trovarono luogo altre nuove sepolture.
Spicca, inoltre, la presenza di un cappella funeraria situata nel portico a nord, che ospita una grande tomba antropomorfa (ovvero sagomata attorno al corpo del defunto) la cui base è costituita dall’opus scutulatum originale della villa romana. Anche in questo caso, non si ha idea dell’identità del defunto.

La Chiesa di Sant’Agata e San Nilo

Rimanendo in tema di identità misteriose: quale identificazione è stata proposta per la chiesa appena ritrovata?
Grazie a un’analisi topografica -suffragata da fonti documentali del XI e del XII secolo e alle vicende che legano questo luogo all’abbazia di Montecassino– è stato possibile avanzare l’ipotesi dell’identificazione con il monastero greco di Sant’Agata, il luogo in cui morì il celebre San Nilo da Rossano, il fondatore dell’omonima abbazia di Grottaferrata. Questo edificio, nell’immaginario degli studiosi, era fino a quel momento collocato nella zona della Molara, più in basso nella valle. Le ultime indagini però hanno messo in crisi questa ipotesi e avvalorato l’idea proposta a seguito degli ultimi scavi. È molto più probabile che la Chiesa di Sant’Agata sorgesse proprio sul promontorio.
Il santo, sapendo che la sua fine era vicina, intraprese un viaggio da Sérperi fino ai Colli Albani per chiedere a Gregorio di Tuscolo la concessione di un terreno per costruire un monastero per i suoi confratelli. L’anziano monaco (94enne all’epoca), provato dal lungo tragitto, si fermò per riposare e -sulla scorta di una rivelazione avuta in sogno- trovò accoglienza presso Sant’Agata. Fu lo stesso Gregorio a lasciare la rocca di Tuscolo e ad accorrere presso l’asceta , accordandogli il terreno su cui ancora oggi sorge il monastero. San Nilo trascorse qui i suoi ultimi giorni e infine si spense il 26 settembre del 1004.
So cosa state pensando, perché è la stessa cosa a cui ho pensato anche io. “E se uno dei resti ritrovati dentro la Chiesa fosse proprio il corpo di San Nilo?”. Per quanto questa ipotesi sia molto suggestiva, sappiamo per certo che il santo dopo la morte fu portato in processione a verso l’abbazia ancora in costruzione e lì, nell’attuale Grottaferrata, venne sepolto nella nuda terra.

Un mistero dal passato

Oggi, recandosi presso la collinetta, è possibile passeggiare fra i resti semisepolti dall’erba e dalle piante. A seconda delle stagioni, si possono identificare gli elementi in maniera più o meno evidente.
Questo piccolo promontorio è lontano dall’area nevralgica, affollata, del Tuscolo. È difficile che le persone si avventurino fin qui, apparentemente -da lontano- non sembra ci sia granché interessante.
Ma non è così. Al netto della meravigliosa vista sulla Valle Latina e sul Monte Cavo di cui si gode, recandosi qui si afferra l’intuizione di qualcosa di tanto grande quanto indefinito.
Ci immaginiamo i raggi arancione fuoco del sole che lambiscono la facciata di Sant’Agata e le ombre che si allungano nei porticati. La luna che lentamente si affaccia dal castello dei conti di Tuscolo, sulla rocca, indossando per mantello un cielo stellato.
È facile ipotizzare che quanto portato alla luce nel corso degli scavi non sia che una minima frazione dell’immensità che è passata per di qui. Basta guardarsi attorno.
E se vi fate guidare dall’intuito, al punto tale da oltrepassare collinetta a sud e circumnavigarla verso la parete rocciosa a ovest, troverete qualcosa di meraviglioso. Non è semplice da rintracciare così com’è, incastonato in alto in una grotta e coperto dalla vegetazione. Non so neanche spiegarmi la ragione che in prima istanza mi ha spinta ad attraversare i rovi e a infilarmi proprio in quell’antro. È tutta la vita che frequento il Tuscolo, eppure proprio lì non c’ero mai andata. Ma quando ho alzato gli occhi ho provato un’emozione difficile da quantificare: sopra alla mia testa c’era un colombario (o colombaio) scolpito nella viva roccia. Decine di piccole celle ricavate all’interno di un incasso nella pietra, come tante orbite vuote, rivolte verso il mare in lontananza.

Colombrario etrusco Tuscolo 2
L’aspetto incredibile è che non si trattava di un colombario del tipo che possiamo trovare -rimanendo sempre sul monte Tuscolo- lungo la via dei Sepolcri, di quelli di stampo tipicamente romano, costruiti con cemento e mattoni, atti a contenere le urne cinerarie dei defunti.
No, questo mi ricordava chiaramente i colombari rupestri della Tuscia e della provincia di Grosseto. Come quelli di Blera, Vitozza, Bomarzo. Aree dominate dagli etruschi.
Non abbiamo certezze circa la datazione di questo colombario e le ricerche sono limitate dalle caratteristiche della struttura, in parte interessata da una frana e in parte sfruttata come cava in epoca tardo medievale nella sua fascia inferiore. In basso si intravedono i resti di una sessantina di cellette e sulla destra, perfettamente allineato con il sud e il Monte Cavo, troviamo una cella di circa un metro e 50 cm scavata nella roccia.
In realtà, ci sarebbe da aprire un intero capitolo sul tema dei colombari di questa fattura: di fatti non è mai stata chiarita al 100% la funzione cui erano adibiti. Si trattava di ambienti destinati al riposo dei defunti o…all’allevamento di piccioni? Ebbene, se per i colombari del tipo che troviamo lungo la via dei Sepolcri non abbiamo dubbi (in alcune cavità si distinguono ancora chiaramente le tracce delle urne cinerarie incastonate nella malta) l’utilizzo di questa tipologia di colombario, di stampo etrusco o falisco, rimane ambigua.
In questo caso la posizione aperta verso la vallata e la consapevolezza che la raccolta di guano di piccioni a scopi fertilizzanti era comune nei luoghi ricchi di vitigni (come il Tuscolo, per l’appunto), suggerirebbe la possibilità di una vera e propria colombaia. Sappiamo, inoltre, nel corso del XII secolo, il monastero di Montecassino aveva acquisito la Chiesa di Sant’Agata, impiantandovi le proprie tradizioni.
I monaci cassinesi erano sottoposti a una particolare regola alimentare: non potevano consumare carni rosse, pertanto tendevano a sopperire al bisogno proteico mediante formaggi, legumi, uova, polli e vari tipi di volatili. Quale che sia la datazione di questo manufatto, in ogni modo, è molto possibile che a un certo punto della sua lunga vita sia stato utilizzato per l’allevamento di piccioni e colombe.
Prescindendo un attimo dalla destinazione d’uso, quello che ha acceso il mio entusiasmo è proprio la possibilità che dietro questa opera si celi una mano etrusca. È ancora discussa, di fatti, l’opzione di un’origine etrusca della città.
La leggenda vuole che il fondatore di Tusculum sia Telegono, il figlio di Ulisse, mentre una tradizione parallela lo sostituisce al re Latino Silvio, pronipote di Enea. Il geografo Seicentesco Filippo Cluverio mise da parte ogni mitologia e sostenne che la città fu fondata dai latini trecento anni prima della guerra di Troia (combattuta nel 1250 a.C. circa). Altre ipotesi ruotano attorno all’idea che il nome stesso Tusculum derivi dal fiume Tuscus amnis, oggi scomparso, con chiara allusione etimologica ai Tusci (gli etruschi).

Colombrario etrusco Tuscolo 2
Ciò che sappiamo è che al termine dell’età monarchica, Tarquinio il Superbo -l’ultimo re di Roma, di origini etrusche- si rifugiò presso il genero Ottavio Mamilio, principe di Tuscolo, per organizzare un attacco contro Roma. La vicenda, poi, degenerò nella battaglia del Lago Regillo (499 a.C. circa) con la vittoria schiacciante da parte dell’esercito romano e l’inizio dell’era repubblicana. L’informazione interessante che ne traiamo è che Tarquinia, moglie di Ottavio Mamilio dittatore di Tuscolo, è etrusca. È lecito immaginare che, al netto della questione della fondazione, ci fosse una certa commistione e che gli etruschi abbiano avuto in qualche grado un’influenza culturale sulla città.
Le più tenaci opposizioni all’idea di una fondazione etrusca della città, sostenuta già nel IV secolo dallo storico Rufio Festo e in tempi più recenti da Wilhelm Schulze, si basano sulla dichiarata assenza di qualsiasi traccia di cultura etrusca nell’area del Tuscolo.
C’è da dire che comunque le sepolture a colombario (o comunque, i colombai) comparirono in Etruria intorno al III secolo a.C., pertanto siamo lontani dai tempi arcaici della fondazione della città.
Ma forse la pietra ha ancora dei segreti da sussurrare.

Alessandra

N.B. La cavità in cui è situato il colombario porta segni evidenti di frequentazione assidua da parte di cinghiali e l’intera cavità appare estremamente friabile, pertanto siate cauti nel caso in cui voleste avvicinarvi. Non vi sono sentieri che conducono in questo luogo e in alcuni momenti dell’anno la vegetazione potrebbe essere troppo fitta per consentirvi di raggiungerlo.

Fonti fondamentali: