Equinozio di Primavera: colori proibiti

Il 20 marzo si sarebbe verificato l’Equinozio di Primavera.

Monte Cavo dal Lago AlbanoPer celebrare l’evento io e la mia compagna di avventure ci siamo imbarcate in una camminata di due giorni, con partenza dalla Basilica di San Pietro in Vaticano e arrivo presso Nemi. Un viaggio a ritroso nel Tempo e nello Spazio, per ripercorrere la storia spirituale dell’umanità dalle origini del Cattolicesimo fino alla culla della Dea Madre.
Abbiamo percorso la Via Appia Antica, per poi gettarci nel fitto della macchia dei Castelli Romani, un percorso affascinante e ricco di suggestioni lungo la rotta dell’antica Via Francigena del Sud. Del viaggio in sé, però, tratterò in un articolo dedicato.
Ora vorrei narrarvi delle luci dell’alba del 20 marzo e di quanto accaduto nel corso del pernottamento previsto presso il lago Albano o di Castel Gandolfo.

La sveglia era puntata per le 8 in punto.
Considerando i chilometri percorsi a piedi il giorno precedente, non sarebbe dovuto risultare difficile piombare in un sonno profondo e invece, alle ore 5.20, mi ritrovavo nel letto con gli occhi sbarrati a fissare il soffitto.
Mi rigiravo senza posa fra le lenzuola, incapace di riaddormentarmi. Ero profondamente irritata: di lì a poche ore avremmo dovuto rimetterci in marcia e io stavo sprecando tempo prezioso senza riposare. Poi, nel silenzio, arrivò un’idea.
Verificai l’ora del sorgere del sole tramite una rapida ricerca via smartphone e appresi che l’alba equinoziale su Roma era prevista esattamente per le 6.13.
Non avevo molto tempo, dovevo sbrigarmi.
Mi alzai velocemente, cercando di vestirmi con rapidità ma senza far rumore per non destare la mia amica. In pochi minuti ero fuori dal bungalow, immersa nell’aria pungente del mattino avvolta nel cappotto e con il cappuccio ben calcato in testa.
L’atmosfera era a dir poco surreale, intorno a me non c’era anima viva.
Camminavo lungo Via dei Pescatori, osservando Monte Cavo che si stagliava fra le nuvole oltre la sponda del lago, alla mia destra. Gli unici rumori udibili erano quelli degli uccelli che cinguettavano al risveglio, il vento e il canto di un gallo. In mezzo alle acque spicca una barca solitaria.
Non sapevo esattamente da dove avrei osservato l’alba, anche se ero a conoscenza del fatto che il sole sarebbe sorto dal margine stesso in cui svetta Monte Cavo.
Camminai per un po’ sulla strada e appena possibile mi gettai sulla spiaggia.
Il vento increspava le acque, il lago era turbato da una miriade di piccole onde. Tuttavia, l’elemento più incredibile era la qualità della luce.
Io il lago Albano così non l’avevo mai visto.
Ho trascorso moltissimo tempo sulle sue sponde, in ogni stagione e in ogni condizione atmosferica, eppure questo luogo riesce sempre a stupire. Ricordo la notte di San Lorenzo quando, seduta in una barca a remi sulla spiaggia, ho assistito a una tempesta di fulmini che Lago albano, euinozio di primaveraavanzava da dietro il Colle dei Cappuccini. In quell’occasione pensai che il lago mi avesse mostrato tutte le sue facce, ma mi sbagliavo.
I colori che rifletteva prima dell’alba equinoziale erano qualcosa di assolutamente straordinario. E mutavano di continuo.
Era come se le tonalità, accese e vivide, fossero dotate di una translucenza cangiante. Non c’è altro modo di dirlo: quei colori, in realtà, non esistono. Non sono naturali. Sono colori proibiti -con le parole di Mishima Yukio– normalmente inaccessibili, i quali varcano la soglia dell’ignoto per manifestarsi solo in questo frangente.
Mi venne in mente una citazione da un racconto dello scrittore americano H.P. Lovecraft, intitolato “Il colore venuto dallo spazio”, in cui il protagonista della storia si ritrova faccia a faccia con un colore che non aveva mai visto prima:

Che cosa sia, Dio solo lo sa. In termini di materia suppongo che la cosa sia un gas, ma obbediente a leggi che non sono quelle del nostro cosmo; non è il frutto dei pianeti o dei soli che splendono nei telescopi […] non è un soffio dei cieli di cui i nostri astronomi misurano i moti e le dimensioni […] era soltanto un colore venuto dallo spazio, messaggero degli informi reami dell’infinito, al di là della natura che conosciamo.

Mi posizionai presso un pontile, in attesa che il sole facesse capolino. L’attesa fu lunga.
Benché il sole avesse illuminato la Capitale alle 6.13, ci sarebbe voluto diverso tempo prima che scavalcasse la cresta del cratere vulcanico in cui mi trovavo. Davanti a me le luci danzavano donando, di volta in volta, sfumature diverse alle acque e alla vegetazione. Le nubi scorrevano veloci, trasportate dal vento.
Intorno a me solo silenzio e il fantasma di Alba Longa.

Ho atteso seduta sulla spiaggia per quasi un’ora, prima che un raggio luminoso irrompesse da oltre la bocca del vulcano. La luce proveniva esattamente da Est, direzione che dal mio punto di osservazione posizionava il sole a sinistra di Monte Cavo.
In quel momento mi piombarono in testa le parole che molti mesi prima mi erano state dette da Sandro Pravisani, ideatore e curatore del progetto Geografia Sacra:

Ale, se la mattina dell’Equinozio di Primavera ti posizioni esattamente dove sorge il villaggio preistorico delle Macine, sulle sponde del lago di Castel Gandolfo, puoi vedere il sole rinascere dalla vetta di Monte Cavo.

Il sole proseguiva inarrestabile la sua avanzata: improvvisamente capii che avevo pochissimi istanti per raggiungere il Villaggio delle Macine, o avrei perso l’occasione. Scattai immediatamente verso l’insediamento risalente all’Età del Bronzo. Niente più stanchezza, niente più freddo.
Con lo sguardo fisso sul sole, correvo con tutte le mie forze.
L’osservazione degli astri, dei tramonti e degli allineamenti solari, trasmette un insegnamento importante: cogliere l’attimo è essenziale. Basta una sfasatura di pochi secondi e tutto è perduto fino all’occasione successiva, la quale talvolta di presenta solo dopo un anno…talvolta mai. Ma, infine, eccomi lì. Ansimante. Con le braccia abbandonate lungo i fianchi, a osservare uno dei fenomeni naturali più emozionanti cui abbia mai assistito.

L’Equinozio di Primavera, per i popoli arcaici, era vissuto come il momento di resurrezione del Dio-Sole, il quale dopo il periodo di buioAlba equinoziale: Monte Cavo e Lago Albano legato all’autunno e all’inverno, tornava a camminare in tutto il suo splendore sulla Terra. La stessa celebrazione della Pasqua cristiana segue il medesimo principio, in quanto incentrata su archetipi universali che l’umanità intera percepisce in relazione con i ritmi stagionali.
Che vi si ravvisi la rinascita del Dio-Sole, l’alba di Amon-Ra, il ritorno alla vitalità di Cernunno o l’uscita di Cristo dal sepolcro, non importa. La vista di quella stella che emerge dal picco di Monte Cavo, laddove riposano le vestigia del Tempio di Giove Laziale, uno dei luoghi di culto più importanti dell’antichità, smuove un sentimento di compartecipazione ancestrale e profondo.
Nella lingua giapponese, frutto di una cultura plasmata nella radice animista dello Shintō, troviamo la locuzione mono no aware, 物の哀れ.
Traducibile letteralmente come “il sentimento delle cose“, esprime la viscerale empatia , il pathos, che si prova alla vista di una manifestazione naturale tanto meravigliosa quanto precaria ed effimera. L’impressione di essere talmente coinvolti e connessi con quanto sta avvenendo, da avere il desiderio di fonderci con questa entità ed estinguerci in essa e con essa in un’estasi fatale.

Il sole ha raggiunto l’apice del Monte Cavo, per un attimo la cima e la sfera luminosa indugiano stretti in un abbraccio. Poi l’astro si allontana e prende la via del cielo. Sono le 7.05.
Trasognata, mi volto e mi guardo intorno. Il lago comincia a popolarsi, c’è gente che corre, persone che portano a spasso i cani. Ciclisti, qualche sportivo in canoa. Passeggio lungo la spiaggia e rifletto.
Rifletto sul fatto che l’allineamento solare appena osservato indubbiamente non rappresenta una casualità. Un’intuizione si fa strada nella mia mente.
Mi porto all’altezza del Ninfeo Dorico: l’ingresso è interdetto da una recinzione, tuttavia ho avuto modo di visitare il sito nel corso dell’autunno precedente. Bussola alla mano, apprendo che il Ninfeo Dorico risulta perfettamente orientato con l’Est e con Monte Cavo; dal suo interno sarebbe stato possibile osservare la fuoriuscita del sole dalla montagna incorniciata dalla struttura in pietra, come in una quinta teatrale.
La funzione di questo Ninfeo, il quale presenta delle analogie con quello della Caffarella dedicato alla ninfa Egeria, resta oscura. Fra le teorie più accreditate è emersa la possibilità che costituisse, in origine, un tempio sorto probabilmente su un luogo di culto risalente ai tempi di Alba Longa.
Mi trovo davanti ai resti di un ninfeo in quali emergono da un luogo la cui sacralità si perde nella notte dei tempi, in perfetto allineamento equinoziale con una montagna sacra. Oramai, però, l’alba è trascorsa e non c’è modo di verificare l’allineamento solare.
Ma il sole tornerà perfettamente a Oriente fra sei mesi, per lasciarsi inghiottire di nuovo dalle tenebre nel corso dell’equinozio d’autunno. Basta solo attendere.
Nel frattempo non resta che celebrare la Luce e serbare nel cuore il ricordo quei colori che esistono solo prima dell’alba.

Alessandra di Nemora

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