La Necropoli di Vallone Tempesta

Il Vallone Tempesta è una fenditura che si apre sul versante nord ovest del cratere che circoscrive le acque dello Specchio di Diana, il lago di Nemi.
Alle sue spalle si staglia alto Monte Cavo, antica dimora del Tempio di Giove Laziale, mentre ai suoi piedi -guardando verso est- troviamo tuttora le vestigia del Tempio di Diana Nemorense. La sua geografia lo rende un luogo situato al centro polarizzato fra i due dei luoghi più sacri di tutto il Latium Vetus.
Lo studioso indipendente Giuliano di Benedetti sostiene che questa luogo, per gli antichi, abbia ricoperto una valenza simbolica molto specifica: durante la glaciazione di Wurm, quando la terra era avvolta dalle nevi e dai ghiacci, la temperatura nel bacino di Nemi sarebbe rimasta mite in virtù della natura vulcanica del luogo.
Il Vallone Tempesta, nel 10.000 a.C., sarebbe apparso alle popolazioni umane di transito come un autentico Paradiso Terrestre, un luogo ospitale dal quale sbuffavano vapori caldi che rendevano fertili e verdeggianti le terre circostanti. Osservando lo scenario dalla città di Genzano, Monte Cavo e il Vallone sarebbe apparsi come il paradigma di un ventre gravido che partorisce la vita ed è per questo che proprio sulle sponde del lago sarebbe stato edificato il nucleo primigenio di un tempio dedicato alla Dea Madre, culto tramutatosi -in seguito- nella venerazione della dea dei boschi, Diana.
Il Vallone Tempesta è tagliato in perpendicolare da due percorsi naturalistici, il Sentiero degli Acquedotti e il tratto sterrato che conduce verso la località Le Piagge ed è alimentato per gran parte dell’anno da un torrente le cui acque sgorgano copiose dal celebre fontanile denominato Fontan Tempesta.
Il Sentiero degli Acquedotti, che conduce da Genzano a Nemi, è uno dei più bei sentieri sul territorio dei Castelli Romani. Si snoda lungo il costone occidentale del lago e offre dei punti panoramici d’eccezione. La sua caratteristica più peculiare si trova nelle numerose gallerie scavate nella nuda roccia che l’avventore deve attraversare per farsi strada nel bosco.
Verso la fine del Sentiero, superata l’ultima galleria, si intercetta proprio la porzione mediana del Vallone Tempesta e la sua cascatella. Passando per questo tratto, viene spontaneo affacciarsi verso il basso per seguire con gli occhi il torrentello che si getta oltre la parete verticale che delimita il percorso.
Ed è così che, scrutando attentamente nella macchia verdeggiante sottostante, si possono scorgono quattro bocche nere spalancate che si affacciano dalla roccia.

La risalita del Vallone Tempesta

La scoperta della presenza di un nucleo di grotte nel Vallone Tempesta ha coinciso con la frustrazione derivante dall’impossibilità di raggiungerle.
Avevano tutto l’aspetto di tombe preistoriche della tipologia che si trova seminata lungo il perimetro del lago e averle a vista d’occhio senza poterle visitare è stato un cruccio che mi faceva compagnia ogni qualvolta passassi per il Sentiero degli Acquedotti. Nel corso di alcune ricerche sono incappata nel video girato dal prode Matteo presso la necropoli: insomma, sembrava che l’unico sistema valido fosse calarsi dall’alto con delle corde.
Dopo averlo contattato, grazie alle sue preziosi indicazioni, sono però giunta alla conclusione che valesse la pena il tentativo di risalire il Vallone Tempesta partendo dal basso.
Mi sono imbarcata in questa avventura nel periodo dell’anno meno consigliato, l’inverno, quando il torrentello del Vallone è in piena. Una volta parcheggiata l’auto in corrispondenza del fondovalle, il suono scrosciante dell’acqua mi ha fatta sobbalzare: onestamente, l’idea che il corso d’acqua potesse essere attivo non mi aveva minimamente sfiorata. Ma ormai ero lì, tanto valeva la pena provare.
Il percorso che risale il Vallone Tempesta non è segnalato sulle mappe dei sentieri del Parco Regionale dei Castelli Romani per una ragione molto semplice: non si tratta di un sentiero.
Nessuna segnaletica, nessuna carrareccia, nessun tracciato battuto. Puro e semplice fuoripista.
La gola del Vallone, così come descritta da Giuliano de Benedetti nelle sue ricostruzioni, è realmente popolata da una vegetazione esplosiva. Sembra quasi di ritrovarsi all’interno di uno scenario preistorico, con grandi felci, alberi di altro fusto e un muschio fittissimo che ricopre ogni masso.
Al centro, il corso d’acqua scorre rapido fra le rocce. Non sarebbe da sorprendersi se da un cespuglio nella macchia facesse capolino qualche animale estinto da milioni di anni.
Mi addentro in questo nuovo ambiente con passi delicati: sono un ospite, un OOPArt, un manufatto fuori dal tempo, un anacronismo. Non voglio disturbare, né lasciare alcuna traccia.
Mi arrampico con difficoltà fra i sassi scivolosi, tento di evitare di finire con i piedi nell’acqua ma è una speranza vana. Dopo poche centinaia di metri mi ritrovo con le scarpe ricoperte di fango e i pantaloni impregnati di acqua ghiacciata. Poco male, il silenzio violato dal solo scrosciare delle acque mi ripaga ampiamente del freddo e dell’umidità. Mi sembra di aver varcato un portale, di essere finita in uno spazio cristallizzato nel tempo.
Dal fondo della mia mente vengono evocate le note di Tumi Bhaja re Mana, un mantra a cui sono particolarmente affezionata. L’intero testo è incentrato su una connessione profonda con la dimensione del divino, con un dialogo intimistico e continuo con un elemento sacrale onnipresente. Secolarizzando questa concezione induista, la sensazione di entrare in contatto con un’entità che abbraccia e circonda è quanto di più vivido si possa sperimentare addentrandosi nei luoghi vergini custoditi all’ombra degli alberi.
Tuttavia, benché rapiti dal contesto evocativo e suggestivo, non bisogna mai dimenticarsi che la natura è, se non spietata, per lo meno imparziale verso i suoi figli.
Un piede in fallo in un punto scivoloso o una presa mancina su di un roccia malferma e si rotola giù. Salendo verso punti sempre più difficoltosi mi domando se stia osando troppo, se non sia il caso di tornare indietro.
Sarò in grado di percorrere il Vallone e di superare il corso d’acqua a ritroso? Onestamente non ne ho idea. Rapita dall’immagine della Necropoli proseguo, convinta di essere ormai vicinissima.

Tombe preistoriche del Vallone Tempesta

Infine eccomi lì, nella parte sottostante al Sentiero degli Acquedotti, ai piedi della parete verticale che da sopra risultava impossibile da scendere senza l’ausilio delle corde. Sulla mi destra risuona l’eco della cascatella che irrora il torrente del Vallone.
Le tombe si affacciano alla mia sinistra, quattro ambienti ricavati all’interno della roccia lavica rossastra. Accendo la torcia e mi accingo in volata all’esplorazione. Il fondo degli ambienti è ricco di terra rossa, così come rossi sono gli esterni degli ambienti.
Mi torna alla mente l’usanza funeraria in voga fra i popoli del paleolitico, i quali usavano cospargere il volto dei cadaveri di ocra o posizionarli all’interno di giacigli ricavati da rocce dello stesso pigmento.
All’interno delle tombe si nota distintamente i segni lasciati dagli attrezzi che hanno scalfito le pareti. Ma a che epoca appartengono questi sepolcri? In linea con le altre sepolture della stessa fattezza dislocate lungo il costone del lago di Nemi, si tenderebbe ad assorbirle quanto meno all’Età del Bronzo (3.500 a.C.).  Come ogni cavità e manufatto del luogo, tuttavia, potrebbero aver vissuto vite diverse. Non è raro, di fatti, che tombe preistoriche di questo tipo siano state impiegate in seguito come tombe in epoca latina e in epoca paleocristiana, per poi assurgere il ruolo di ricoveri per animali, ripostigli per attrezzi e infine rifugi per gli sfollati della Seconda Guerra Mondiale.
Tuttavia, vi sono alcuni elementi riscontrabili lungo il Sentiero degli Acquedotti che lasciano supporre la possibilità che questi luoghi di riposo eterno possano aver svolto una funzione differenze in epoche ancora più antiche. Coppelle, canaletti e mura scavate nella roccia viva, suggeriscono il presidio di questa zona da parte della stessa misteriosa civiltà che potrebbe aver colonizzato il Monte Tuscolo a cavallo fra il IV e il III millennio a.C.: la Cultura di Rinaldone.
La presenza di questo popolo, la cui scoperta risale a meno di un secolo fa, è attestata in diversi nuclei situati a Roma Est e in zona Romanina. Negli ultimi anni, inoltre, degli scavi svolti a opera del Professor Federico Rolfo -docente presso l’Università La Sapienza di Roma- hanno riportato alla luce interessanti reperti rinaldoniani proprio nell’area del Monte Peschio e del Maschio dei Ferrari, lungo la catena artemisia, occorrenza che rende verosimile un’estensione di questa civiltà anche nelle circostanti aree dei Castelli Romani.
La coscienza collettiva, negli ultimi decenni, sembra stia spingendo verso la riconsiderazione di un passato radicato nel bacino di una civiltà molto estesa, che abbia accomunato un’area geografica estremamente vasta. Le stesse caratteristiche manifatturiere che connotano in maniera unica le vestigia rinaldoniane nel Lazio -quali coppelle e geometria curiosamente asimmetrica dei manufatti- sono riscontrabili non solo in Toscana, ma anche in parti remotissime del globo, quali Russia e Sud America.
Riassegnare l’appartenenza di tanti reperti e siti archeologici nelle mani di Rinaldone significherebbe, però, spostare indietro le lancette di diverse datazioni e mettere in discussione gran parte del passato più antico di questi luoghi, ragione per cui determinate ipotesi attualmente trovano più spazio nelle scritti di appassionati indipendenti piuttosto che nei testi degli accademici.
Le quattro tombe del Vallone Tempesta sono rivolte verso oriente, il sole nascente. Le prime sono definite da spazi piuttosto angusti, mentre le ultime due presentano degli interni vasti e ognuna ha caratteristiche particolari. Il soffitto della terza è distinto da un quadrato che sembra rivestito di materiale connotato da un rosso intenso, diverso rispetto al resto dell’ambiente, mentre la quarta possiede un profondo vano nella porzione a sud est.
Chissà se queste camere rocciose sono nate realmente con l’intento di ospitare dei defunti o se semplicemente siano state rimaneggiate in un secondo momento per questa funzione. Eterni grembi materni, uteri oscuri di incubazione e rinascita.
Sostare in silenzio all’interno di questi spazi azzera ogni percezione sensoriale esterna e proietta verso una dimensione intimistica e contemplativa.
Non sapremo mai se il Vallone Tempesta sia stato effettivamente interpretato come l’Eden, il Paradiso Terrestre, dai popoli preistorici che osservarono il rigoglio della sua vegetazione durante l’ultima glaciazione. Tuttavia sedere in silenzio sul fondo di terra rossa, nella penombra, osservando il sole filtrare fra le fronde mentre fuori l’acqua scroscia senza soluzione di continuità, è indubbiamente quanto di più vicino debba esistere al nirvana in terra.
Di nuovo, dal fondo della mente:

Sei in ogni respiro che faccio,
sei l’aria che inalo,
sei tutto ciò che vedo e percepisco,
sei ovunque io vada,
sei in ogni parola che pronuncio
e nei silenzi fra le parole.
Tumi bhaja re mana,
tumi japa re mana,

Om, shri ram jaya ram,
japa re mana.

E non importa a chi voli il pensiero, è puro amore per le radici ancestrali comuni a tutta l’Umanità, cruda compartecipazione emotiva. Il sentire autentico delle cose. Appartenenza mistica.

Alessandra di Nemora

Sattva – Tumi Bhaja re Mana

Un grazie immenso a Matteo per le indicazioni indispensabili: per ulteriori info visitate il suo blog.