Emissario del lago di Nemi

L’emissario del lago di Nemi: arteria della terra

emissario nemi, nemora

L’Emissario del lago di Nemi è una bocca spalancata sul buio.
Opera ipogea risalente all’incirca al VI secolo a.C, scavata dalla mano di popolazioni pre-romane. Si sviluppa per 1653 metri, per una larghezza di circa 80 cm ed è un manufatto altissimo livello ingegneristico. Aveva la funzione di tenere costante il livello delle acque del lago di Nemi e incanalarle fino a farle sfociare in Vallericcia, dove veniva impiegata per l’irrigazione. Da qui il corso d’acqua proseguiva  a cielo a aperto fino a sfociare nel mar Tirreno, ad Ardea.

Sono molti i misteri che circondano l’emissario, a partire dal fatto che questa incredibile impresa non sia citate in nessuna fonte storica antica anche se compare in diverse illustrazioni e sappiamo, perciò, che era nota agli antichi. Una possibilità è che non venisse citata in quanto opera non romana a differenza, per esempio, del documentatissimo emissario di Albano, realizzato dai romani durante l’assedio di Veio nel 398 a.C.
L’emissario venne realizzato originariamente per tutelare il luogo di culto dedicato alle dea Diana, situato sulle sponde del lago. L’adorazione della dea in questo bacino ha origini antichissime, probabilmente affonda le radici nel culto preistorico della Dea Madre, per poi evolversi nel tempo fino a giungere ad assumere la forma ufficiale e strutturata della venerazione di Diana Nemorensis.
Sulle rive del lago sorsero, in età romana, numerose altre costruzioni che beneficiarono dell’incanalazione idraulica, come le Terme della Ninfa Egeria e le ville degli imperatori Caligola e Cesare.
Domare le acque per salvare il luogo di culto. Viene in mente unparagone con quanto accaduto con i templi di Abu Simbel -in Egitto- negli anni ’60 del Novecento quando, in previsione della costruzione della diga di Assuan lungo il Nilo, si dovette spostare l’intero sito archeologico per evitare che il fiume lo sommergesse.
Naturalmente nel VI a.C. una simile operazione sarebbe stata impossibile, tuttavia viene da chiedersi perché non si è proceduto semplicemente con la costruzione di un nuovo tempio in un’area più sicura del Nemus Aricino. Il tempio di Diana Nemorensis giunto a noi risale all’incirca al III secolo a.C. e non ci è dato sapere quale entità avesse l’ambiente in cui si svolgevano l’adorazione e le celebrazioni in onore di Diana 300 anni prima ma, ragionevolmente, non era paragonabile a quanto costruito in epoca più recente. È probabile, dunque, che la posizione geografico-spaziale occupata del santuario già in nuce ricoprisse un’importanza cardinale.

Gli scavi per la realizzazione dell’emissario del lago di Nemi hanno rappresentato un’impresa incredibile per l’epoca in cui sono avvenuti. Due squadre di emissario del lago di nemi, nemorascavatori  hanno cominciato parallelamente a scavare: una squadra da una postazione situata qualche metro al di sopra dell’altezza delle acque, l’altro gruppo a partire da Vallericcia. Questo secondo gruppo si è trovato alle prese con una lente basaltica che ha costituito un ostacolo notevole lungo il percorso.
Su come gli operai si siano orientati negli scavi riuscendo infine a incontrarsi, ci sono molte speculazioni e poche certezze. L’ipotesi più accreditata vuole che ci si regolasse grazie alla tecnica del coltellamento, tramite pozzi verticali e filo a piombo.
La tecnica di scavo rappresenta un altro mistero. Alcuni studiosi hanno ipotizzato l’ utilizzo della dolabella, ovvero di un piccone dalla punta corta, altri sostengono che gli scavatori si siano serviti di una sorta di macchinario per scavare costituito da un asse  fornito di lamelle che, ruotando, erodeva la roccia al ritmo di circa 2-3 cm ogni 10 cicli. Qualsiasi siano state le modalità attuate, appare evidente che il completamento dell’opera debba aver richiesto un tempo molto lungo, considerando anche che il fronte di lavoro poteva ospitare massimo una persona.
Giunti al punto d’incontro, le squadre hanno continuato a scavare fino al raggiungimento della parete che li divideva dalla massa acquatica. L’ultima picconata ha sprigionato il fluire impetuoso dell’acqua e trascinato con sé chi era rimasto a completare i lavori.
L’opera è stata realizzata con un tale grado di perfezione che negli anni ’20 è stata rimessa in funzione per prosciugare il lago e procedere il con il recupero delle navi di Caligola, le quali giacevano sul fondo dello specchio d’acqua fin dal I d.C.

La prima volta che ho visitato il cunicolo è stato assieme al gruppo guidato dagli agenti del Parco Naturale Regionale dei Castelli Romani.
L’escursione è stata interessante e le guide hanno illustrato egregiamente la storia e il percorso dell’emissario tuttavia, in compagnia di molta gente, non è semplice “sentire” cosa hanno da dirci i luoghi antichi. Perciò, a distanza di poche settimane, ho deciso di ripetere l’esperienza in maniera autonoma., accompagnata solo da tre amici.
L’imbocco del cunicolo si trova sulla sponda occidentale del lago di Nemi.
Questo è denominato incile o“ingresso monumentale “ in quanto rivestito in peperino e fornito di rifiniture. L’ingresso si trova nei pressi di un grosso fico ed è incorniciato da edera.
emissario del lago di nemi, nemoraSotto l’edera si scorge una macchia di colore, spostando la pianta noto una particolarità: dei segni dipinti con un tratto caratteristico. Hanno qualcosa di familiare, ci rifletto, ho l’impressione di aver già visto quella mano.
Nel mio articolo “Nemi, riva orientale: 3000 anni in 500 metri” parlavo di simboli identici trovati sulle pareti di un opificio medievale. Non ho assolutamente idea di cosa vogliano significare e ho solo due certezze: sono di fattura moderna e sono strutturati in maniera troppo precisa per essere casuali. Sono di fronte all’ennesimo mistero che i Castelli Romani offrono.
Apro l’inferriata che chiude l’ingresso: una corrente fredda ci investe e porta con sé l’odore dei luoghi avvolti dal buio e dal silenzio. Accendendo le torce l’ambiente appare in tutta la sua imponenza, in questo tratto il cunicolo è alto diversi metri e presenta sulla sommità i caratteristici filtri in pietra costellati da fori circolari.
Terminato il rivestimento di peperino, sulle pareti diventano visibili, ovunque, profonde scalfitture. Facciamo scorrere i polpastrelli lungo i solchi, regolari e ripetuti. Si tratta dei segni lasciati dagli attrezzi di scavo. Sono così evidenti da annullare 2600 anni di storia e riportarci sullo stesso piano temporale di coloro che li hanno incisi.
Lo speco si fa più stretto basso, procediamo camminando chinati. Dopo qualche centinaio di metri arriviamo alla discenderia, il tratto in cui la squadra proveniente dall’ingresso che si trovava al di sopra delle acquee si  è riportata al livello di scavo del gruppo proveniente dall’altro lato della montagna. Questo spazio, in autunno, ospita una nutrita colonia di una specie protetta di pipistrelli, la quale annualmente viene censita dai guardiaparco.
Salendo dei gradini è possibile entrare in questo cunicolo secondario. Ripercorrendolo a ritroso, in pendenza, si giunge fino al punto d’imbocco, dal quale si gode una meravigliosa vista del lago di Nemi dall’alto. Torniamo indietro e riprendiamo la nostra strada verso Vallericcia.
È possibile notare la presenza di cunicoli a fondo cieco: si tratta di errori e ripensamenti, gallerie iniziate e poi abbandonate per riprendere la direzione corretta. Aprire la fila è un’esperienza emozionante, il fascio di luce scopre poco per volta la roccia man mano che si avanza, in distanza regna il buio assoluto.
Si incontrano, lateralmente, delle sorta di nicchiette, dalle fattezze di giacigli. Potrebbe trattarsi di ricoveri di fortuna adottati dagli abitanti di Nemi e Genzano durante la Seconda Guerra Mondiale. È noto, di fatti, che le popolazioni dei paesi limitrofi abbiano trovato riparo negli antichi ipogei dei Castelli Romani nel tentativo di sfuggire ai bombardamenti. Lo stesso Museo delle Navi Romane di Nemi ospitò gli sfollati, in diverse foto storiche è possibile vedere persone accampate proprio al di sotto degli scafi delle navi originali di Caligola, poco prima che venissero distrutte nell’enigmatico incendio del 31 maggio 1944.
Sopra di noi c’è la città di Genzano, ci troviamo all’incirca a metà del percorso. Siamo troppo distanti, troppo in profondità, per averne anche solo un indizio uditivo.
emissario lado gi nemi, nemoraIn breve arriviamo in una porzione della galleria rivestita completamente di calcare. Il lavoro millenario dell’acqua si è palesato in una serie di concrezioni: piccole stalagmiti e stalattiti si ergono dalle pareti e dall’apice della galleria. Brillano sotto i fasci di luce tornendo il cunicolo, regalando un meraviglioso spettacolo.
Da qui in poi le infiltrazioni d’acqua rendono difficile proseguire, in alcuni tratti l’acqua giunge quasi fino alle ginocchia. Incontriamo una serie di archi, manufatti risalenti al periodo del Fascismo, periodo in cui è stato effettuato il momentaneo ripristino dell’emissario.
Lo speco si fa progressivamente sempre più stretto e basso, l’acqua diventa sempre più alta. Venature basaltiche spiccano dalle pareti, indubbiamente la difficoltà tecnica incontrata dagli operai si riflette nella qualità del lavoro, che in questo tratto risulta molto più approssimativo e meno rifinito.
D’un tratto una luce balena dal fondo: siamo giunti a Vallericcia. Per uscire dobbiamo letteralmente strisciare a terra per sbucare, infine, in una distesa di campi coltivati. Ci stropicciamo gli occhi, cercando di riabituarci alla luce del sole e all’aria fresca. Da qui si gode una meravigliosa quanto inedita vista di Ariccia dal basso.
Dopo una breve sosta riprendiamo il cammino. Ci addentriamo nuovamente nell’emissario e stavolta chiudo la fila. Essere ultimi è un’esperienza vagamente inquietante, ogni tanto ci si sente spinti a voltarsi e a puntare la torcia verso il nulla che abbiamo alle spalle. Eppure quel percorso l’abbiamo già intrapreso. Eppure, razionalmente, non ci sono pericoli. Eppure.
Le paure più grandi dell’uomo nascono dall’ignoto. Tuttavia, è lo stesso ignoto il motore di propulsione delle più grandi scoperte e passioni umane. È un gioco di forze. Mi giro, fisso il buio. Ho un’idea e propongo di fermarci. Spegniamo le torce e istintivamente, tacendo, cominciamo  respirare in maniera lenta e leggera per non turbare la quiete.
Questo è il vero volto nell’emissario. Noi portiamo le nostre voci, le nostre luci, le nostre paure e le nostre aspettative. Le sommiamo alle risonanze che qui si stratificano da 2600 anni: vocii, colpi di piccone, grida, il fragore delle acque. Ma quando l’ultimo visitatore si chiude alle spalle il cancello in ferro e spegne la sua torcia, l’emissario torna a essere l’arteria oscura della terra. Una cavità che ascolta, assorbe e custodisce.
E nei millenni dimorerà qui, l’eco dei miei passi.

emissario del lago di nemi, nemora

Nemora,
Alessandra

Ringrazio doppiamente Valentina per essere stata con me entrambe le volte e Roberto ed Erika per essersi tuffati nel buio insieme a noi.

6 commenti su “Emissario del lago di Nemi”

  1. Facendo il sentiero che fa il giro completo del lago sono passato tante volte davanti a questo misterioso cancello, spesso aperto,; affascinato dai suoi circa 2500 anni di storia! Mi fermo, scatto qualche foto e … attendo con ansia l’occasione di una ‘traversata’. Nel frattempo leggo con fame dii sapere tutto ciò che trovo sulla rete e non. In questi articoli di Alessandra ho trovato gran parte di quanto cercavo. Grazie

  2. Ma dove sbuca l’emissario? non riesco a trovarlo scritto da nessuna parte; ho trovato qualche vaga mappa, e sovrapponendola in Google Earth sembra che sbuchi… nel giardino di una casa?!?
    41.709134°N, 12.674894°E, possibile ?
    Questa è l’unica mappa decente che ho trovato: http://www.romasotterranea.it/upl/ipogei_schede/emissario_lago_nemi_cartina.jpg

    Non che si possano percorrere tutti i 1635 metri, giusto per curiosità.

    Chissà se qualcuno ha già pensato a ricostruirne il modello 3d?

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