Le Tombe Grotticelle sono sepolture scoperte nel 1982 nel cuore dei boschi di Rocca di Papa, a metà strada fra Monte Cavo e il Maschio delle Faete.
Fra le diverse datazioni ipotizzate, la più attendibile sembrerebbe essere quella che ne colloca la realizzazione nel periodo Eneolotico, a cavallo fra l’Età del Rame e quella del Bronzo: questi sepolcri risalgono, in sostanza, all’incirca al 2.500 a.C.
Le Tombe Grotticelle rappresentano un unicum nel territorio dei Castelli Romani, nonché un vero e proprio enigma dal punto di vista archeologico.
Come arrivare alle Tombe Grotticelle
Sono raggiungibili in appena mezz’ora di cammino, benché il percorso non sia intuibile né tracciato. Si sale sul Monte Cavo e -poco prima di raggiungere la cima- si imbocca il sentiero sterrato che parte dall’ultima sbarra verde lungo la strada asfaltata.
Da qui in poi bisogna tenere la sinistra al primo bivio incontrato. Dopo un paio di chilometri le fronde degli alberi si diradano e (superato un tratto roccioso) ci si ritrova a intersecare una grande via sterrata. Procedendo ancora verso sinistra, bisognerà poi voltare a destra al primo sentierino tangente che si affaccia sulla carrareccia.
Dopo dieci minuti di cammino si giunge presso n cartello che preannuncia la presenza dei ruderi della Capanna dei Guardiani. Questi antichi casali costituivano il rifugio in cui, fino alla metà del Novecento, vivevano i guardiaboschi. Deputati al controllo del fenomeno del brigantaggio e alla tutela delle foreste, i guardiani vigilavano sui boschi, conducendo una vita all’insegna della frugalità e dell’isolamento. È possibile osservare le vestigia di un altro Casale dei Guardiani su Colle Iano, fra Rocca Priora e Rocca di Papa, si tratta dei resti da cui ha avuto origine la denominazione della località detta Capanna Bruciata. Ma torniamo alla nostro percorso verso le Grotticelle: oltrepassati i ruderi del casale, sarà sufficiente seguire la naturale prosecuzione del sentiero per giungere presso il sito archeologico.
Superata la Capanna del Guardiano, il paesaggio e l’atmosfera cambiano progressivamente. Il bosco si fa più fitto, l’umidità sale. Il sentiero è costellato di massi vulcanici, alcuni squadrati dalla mano dell’uomo, disposti a delimitare il percorso. Si scende lungo il versante orientale della collinetta e improvvisamente, sulla destra, si va formando un profilo roccioso inedito: siamo giunti alle Tombe Grotticelle.
Le Tombe Grotticelle: affascinanti anomalie
La denominazione di queste sepolture è dovuta alla tipologia di tomba a grotticella, tipica del tardo Neolitico sopratutto in Sicilia e di cui l’esempio più grandioso è dato dalle Necropoli Rupestri di Pantalica, in provincia di Catania. Le tombe a grotticella sono anche dette “a forno”, proprio per la loro conformazione che ricorda le fattezze di una classica fornace. Scavate nella viva roccia, in fase iniziale erano atte a ospitare un singolo cadavere, ma vennero probabilmente utilizzate in epoche successive per sepolture di massa a causa dell’esplosione demografica che interessò le comunità preistoriche. Tuttavia, i sepolcri di Rocca di Papa differiscono enormemente da quanto è possibile ammirare a Pantalica o in necropoli affini, anzi: hanno molto poco a che fare, in quanto a rifinitura e maestria architettonica, con i loro corrispettivi siculi, piuttosto grezzi e basilari.
Le tombe a grotticella, benché spesso situate in posizioni naturalistiche altamente spettacolari, sono semplici cavità cui -nelle versioni più evolute- viene anteposto un portello monolitico con simboli antropomorfi o motivi spiraliformi.
Le Grotticelle di Rocca di Papa sono incastonate al termine di due corridoi di tufo, scolpiti all’interno di un unico manto lavico. Questo spazio antistante, camminamento a cielo aperto avente la funzione di accompagnare l’essere umano dal regno dei vivi a quello dei morti e viceversa, è detto dromos [n.d.r.ho già trattato dei dromos nel mio articolo sulle Vie Cave Etrusche e le Forre del Maschio dell’Artemisio].
È possibile trovare tombe precedute da piccoli dromos in territorio etrusco, o osservare maestosi dormos di sfingi agli ingressi dei templi e delle tombe egizie, tuttavia la maggiore espressione di questi portali a cavallo fra vita e morte la si può toccare con mano presso le domus de janas a Ruinas -in Sardegna- o nelle tombe a tholos dell’architettura micenea del XIV a.C.
Le necropoli sarde di questa tipologia risalgono a un’epoca prenuragica, appartengono cioè a un remotissimo lasso temporale che si estende dal 6.000 al 3.000 a.C.
I popoli che le realizzarono erano adoratori della Dea Madre e di un pantheon mutuato direttamente dagli elementi naturali, quali il sole, la luna e gli animali. I corpi venivano inumati in posizione fetale, accompagnati da un corredo di uso quotidiano che il defunto avrebbe utilizzato per la prosecuzione della vita oltre la morte. Si suppone che sia il cadavere che le pareti interne delle tombe fossero dipinti di color ocra.
Sia le sepolture a grotticella siciliane, sia le domus de janas sarde, erano riunite a formare delle necropoli di dimensioni anche molto estese.
Fra i reperti di origine micenea, invece, quello più rimarchevole per stato conservativo e manifattura risulta il celebre Tesoro di Atreo (detto anche Tomba di Agamennone), situato presso la Rocca di Micene, in Grecia. Nonostante sia generalmente identificata come una tomba a tholos, la reale funzione dell’imponente costruzione a cupola, edificata intorno alla metà del XV secolo a.C., resta tutt’ora un mistero.
Quali sono le differenze sostanziali delle sepolture prenuragiche e del Tesoro di Atreo con le Grotticelle dei Colli Albani? Nel primo caso, queste non sono inserite nel contesto di un necropoli -anche se ulteriori scavi potrebbero smentire l’asserzione- e presentano una struttura interna semicircolare molto più semplice, nel secondo esempio -invece- balza all’occhio il fatto che si tratti di artefatti scavati nella roccia, mentre la Tomba di Agamennone è una vera e propria costruzione in muratura.
Preso atto delle nozioni archeologiche e dell’impianto storico a nostra disposizione, ora è il momento di silenziare la razionalità pragmatica e di mettersi in ascolto del luogo. Entriamo nelle Grotticelle.
Tombe Grotticelle di Rocca di Papa: via d’uscita dalla morte
I due dromos corrono paralleli, perfettamente orientati verso l’asse N-S: ponendosi con il viso verso l’ingresso dei sepolcri, ci si ritrova a fronteggiare con precisione millimetrica il Nord, dando le spalle al Sud. Alla destra abbiamo l’Est, sole nascente e terra di vita, a sinistra troviamo l’Ovest, che fagocita il giorno e ospita i morti.
A guardarla dall’esterno, incastonate nel pendio, è facile proiettare i tracciati dei dromos estendendoli verso l’orizzonte e immaginarsele come due piste di decollo.
L’altezza dei corridoi, vere e proprie Vie Cave in scala, progredisce man mano che si procede verso le camere sepolcrali. La luce si fa più fioca, le ombre si allungano. Ad accoglierci troviamo degli ambienti a cupola, di base semicircolare. Si sosta all’interno in posizione rannicchiata, fetale, come venivano probabilmente deposti i corpi destinati a esservi racchiusi. Osservo il bosco, all’esterno, come si trovasse al di là di una membrana.
È come trovarsi all’interno di un gigantesco utero, camera gestazionale atta a coltivare una nuova vita. La stessa sensazione che si prova sedendosi nel misterioso monolite a guscio d’uovo che si trova, poco distante, presso il Romitorio di Sant’Angelo in Lacu, lungo il Lago Albano. D’altro canto, nelle culture del passato, l’uovo cosmico è sempre stato considerato il simbolo della rinascita e del rinnovamento.
Il tumulo di oriente risulta più spazioso rispetto a quello esposto a occidente, la temperatura all’interno del primo è decisamente più bassa, l’altro costituisce un piccolo spazio afoso e soffocante. Proprio sullo “stipite” della tomba di sinistra, si nota la presenza di una croce scolpita, tipico segno di “esorcismo artigianale” che anticamente i cristiani apponevano sulle strutture sacre appartenenti a culture pagane. Non appena oltre il bordo del dromos di quest’ultima, si trova una vaschetta rettangolare che ricorda un recipiente per aspersione di liquidi sacri.
Daniele Cataldi, nel suo video di YouTube in cui illustra le teorie archeoastronomiche elaborate dallo studioso Riccardo Bellucci, rimarca come in visione aerea l’intero sito ricordi un utero completo di cervice e tube.
Per di più, la struttura è modellata in un’enfiagione del terreno, una sorta di florido ventre vulcanico.
Non solo. Le Grotticelle sarebbero perfettamente in asse con l’uovo roccioso di Sant’Angelo in Lacu e le Vie Cave del Maschio d’Ariano, le Forre dell’Artemisio.
Due camere parallele, due versanti, due dimensioni diverse, temperature non omogenee. E se avessero funzioni difformi fra loro? Dov’è il resto della necropoli? E se non fossero sepolcri?
Inchinandomi esco di nuovo alla luce del sole, mi pongo frontalmente, esattamente al centro fra i due corridoi.
Le tombe arcaiche, anche quando connesse a un’ideale di rinascita, trasmettono sempre un senso di non-ritorno. Sarcofago, dal greco σαρκοϕάγος, “che mangia, che consuma la carne“.
Ma qui, danti a me, ho l’impressione che quei due occhi cavi non siano atti a sigillarsi e a custodire una mera decomposizione. Sembrano, piuttosto, due incubatrici. È come se dal loro fondo dovesse uscire qualcosa.
Per libera associazione, si fa viva nella mia mente una specifica immagine del Manoscritto Voynich in cui sono illustrate delle figure immerse in vasche collegate fra di loro da canaletti e cannule. Mi è sempre piaciuto pensare si trattasse di una sorta di coltura di vita, un esperimento alchemico per la generazione di esseri umani ex novo, in misura più o meno metaforica e simbolica.
Per quanto sia appagante speculare sulle ipotetiche funzioni di questo affascinante resto archeologico, non sapremo mai in che misura le nostre fantasie si discostino dalla realtà storica.
Tuttavia, rimane forte la sensazione di trovarsi a contatto con un luogo ricco di risonanze impalpabili ma vibranti. Conclusa l’attesa nell’utero tufaceo, attraversata la membrana, acquisita la statura eretta e percorso il dromos verso la luce tenue del sottobosco, l’unico grande impulso è quello di lasciarsi investire da questo respiro antico e potente, abbandonandosi, mettendo a tacere ogni quesito di cui la ragione non avrebbe comunque dominio.
Alessandra di Nemora
Un ringraziamento speciale a Valentina, per avermi accompagnata nell’ultimo sopralluogo prima della stesura dell’articolo e per le mille domande irrisolte con cui ha nutrito il mio immaginario.
Ottimo spunto Ale! Andrò quanto prima a visitarle e magari a inserirle nel nòvero dei luoghi segreti a due passi da Roma!
Grazie per aver letto e condiviso Luigi! Quando vuoi ti attendo nei Castelli 🙂
Grazie di tutti questi spunti interessanti. E chi sospettava tutte queste meraviglie qui intorno? Leggo il tuo blog e mi sembra di aver perso tempo, contando che per tanti anni non ho fatto altro che passeggiare per boschi e varie…
Comprerò anche i libri di Luigi
Ottimo contributo. Grazie, Alessandra!!!
argomenti e luoghi molto interessanti di cui molti sconosciuti, pur essendo della zona a cui sono riferiti e descritti con sapienza.
Grazie