Latium volcano, il Vulcano Laziale.
La sua grande struttura ricade perfettamente all’interno dell’area dei Castelli Romani, si tratta di un vero e proprio supervulcano, il cui sviluppo è descrivibile in tre fasi geologiche.
La prima fase, detta “del Tuscolano-Artemisio”, inizia 500.000 anni fa e testimonia la sedimentazione dei materiali che porteranno gradualmente alla costruzione dell’edificio vulcanico, che si sviluppa fra il Mar Tirreno e il rilievo appenninico. Questa fase termina 360.000 anni fa, con la formazione di una grande caldera -un cono largo alla base circa 60 km- la quale costituisce il recinto esterno del vulcano, ovvero l’attuale cinta collinare del monte Tuscolo e dell’Artemisio.
Durante la seconda fase, detta “delle Faete o dei Campi di Annibale”, prosegue l’intensa attività vulcanica e si viene a formare nell’attuale area dei Campi di Annibale, un nuovo cratere di 15 km circondato da alte pareti. Durante l’ultimo periodo di questa fase, intorno a 260.000 anni fa, il complesso vulcanico attraversa un momento di quiete il quale porterà al raffreddamento del camino centrale e alla formazione di un tappo costituito da magma consolidato.
Fra i 200.000 e i 19.000 anni fa abbiamo la terza e ultima fase, detta “idromagnetica” o “di Via dei Laghi”. Questa è caratterizzata da forti esplosioni e dal contatto fra magma e acqua: la lava incandescente dovette trovare sfoghi secondari rispetto al cratere centrale ormai ostruito e incontrò, durante il suo percorso nel sottosuolo, delle falde acquifere. L’incontro fra il magma e la falda freatica provocò la formazione di enormi quantità di gas aventi un incredibile potenziale esplosivo e, quando infine la pressione ebbe la meglio sulla resistenza meccanica delle rocce, i gas eruppero in superficie in una vertiginosa e repentina risalita di diversi chilometri scagliando in aria gas e materiale roccioso. A seguito di questi eventi il cratere di Monte Cavo si spense, mentre i crateri minori vennero riempiti dalle acque: è questa la genesi dei laghi di Albano e Nemi.
Il Vulcano Laziale oggi
L’ultima eruzione risale a circa 10.000 anni fa, il vulcano attualmente è definito come attivo ma quiescente. La sua attività , dunque, non è ancora terminata e si espleta sottoforma di emissioni di gas altamente tossici, sollevamenti del terreno –innalzatosi di 30 cm fra il 1955 e il 1995- e scosse sismiche. La camera magmatica appartenente al complesso vulcanico è probabilmente ancora molto calda, anche se non dovrebbe presentare più lava allo stato liquido, ciò sarebbe la causa delle frequenti eruzioni di anidride carbonica, potenzialmente fatali per l’uomo e per tutti gli esseri viventi se emessa in grandi quantità: si segnalano, in queste zone, casi di animali di diversa taglia deceduti a causa di suddette improvvise esalazioni.
Secondo gli ultimi studi c’è la possibilità che il vulcano possa riprendere la sua piena attività eruttiva in futuro, se così fosse costituirebbe un grande pericolo per gli abitanti dei Castelli Romani e per Roma stessa.
Il dragone rosso
Queste sono dunque le antiche origini del territorio che costituisce il Parco Naturale dei Castelli Romani. L’area in oggetto è stata abitata fin da tempi remotissimi e da sempre i suoi boschi rappresentano la sede elettiva per i culti più svariati, in molti si sono domandati il perché di un’attività spirituale così intensa e reiterata nei millenni. Gli scenari immersi nel verde, la possibilità di ritirarsi in solitudine in uno splendido ambiente naturale, hanno sicuramente spinto l’essere umano a prediligere questi luoghi per scopi religiosi rispetto al tumulto dei centri urbani.
L’antropologo scozzese James George Frazer però, nel suo celebre saggio Il Ramo d’Oro (1890), fa notare un particolare molto curioso: osservando una carta del Parco Regionale si nota come il suo perimetro delinei la sagoma di un drago. Gli occhi della bestia sarebbero rappresentati dai due laghi ed esattamente in mezzo a essi si trova la famosa “salita-discesa” di Ariccia, una strada dove si verifica uno strano fenomeno di elettromagnetismo per il quale, pur trovandosi in salita, lasciando rotolare una palla o colare un liquido, questo si dirigerà verso la parte alta, come se in realtà ci si trovasse in discesa. Le giornaliste Enrica Cammarano e Letizia Strambi, nel loro saggio Satana alle porte di Roma (1995; Edizione Mediterranee), avanzano l’ipotesi secondo la quale proprio questa caratteristica peculiare abbia fornito da richiamo per culti pagani e, in tempi relativamente più recenti, rituali demoniaci. È nota, di fatti, l’associazione per la quale il cristianesimo identifica nel serpente alato, ovvero nel drago – spesso, nello specifico, un dragone rosso, come descritto anche nell’Apocalisse di Giovanni – il simbolo del male.
È dunque una coincidenza che a partire dal 1604, per volere di papa Urbano VIII, sia stata stabilita proprio a Castel Gandolfo la residenza suburbana ufficiale del capo della Chiesa Cattolica Romana? Possiamo pensare che forse si avvertisse, e si avverta tuttora, la necessità di contrastare vestigia pagane e focolai anticristiani proliferanti proprio a due passi dalla Santa Sede; oppure possiamo semplicemente dedurre che gli stessi papi non siano immuni all’energia e al fascino ancestrale di questi boschi, considerati sacri sin dall’alba dell’umanità.
Volendo dare una personale interpretazione all’immagine dell’attuale conformazione del Vulcano Laziale immortalato dall’alto, direi che il richiamo simbolico degno di nota sia non un semplice drago, ma un seprente alato che si morde la coda formando un cerchio: un oroboro (o uroboro, che dir si voglia). Tradizionalmente in occidente è un simbolo associato all’alchimia, tuttavia si ritrova nelle culture di ogni angolo del mondo, dall’antico Egitto fino alle civiltà precolombiane in Sud America, passando per l’Estremo Oriente, dove lo stesso principio viene espresso in Cina attraverso i concetti di yin eyang e in Giappone mediante il tomoe.
Rappresenta l’eterno ritorno, la ciclicità della natura, la complementarietà degli opposti e il rinnovamento perpetuo.
Nemora,
Alessandra
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