Semisepolto fra la vegetazione e velato da grandi ragnatele, un varco sul buio. Sopra alla mia testa delle grosse nuvole grigie si vanno addensando nel verde luminescente della campagna settembrina di Marco Simone, frazione di Guidonia (RM).
Complice il derby in corso di svolgimento, in giro non c’è anima viva. A tratti il vento si alza e scuote all’improvviso l’erba alta dei campi. Grosse balle di fieno gialle, un temporale in arrivo, in lontananza i ruderi del parco dell’inviolata e davanti a me un mistero. Non restava che tirar fuori la torcia e darsi da fare.
La discesa nella grotta di San Nicola
Discendere da soli all’interno di una cavità buia, antica e sconosciuta è di per sé una grande emozione. L’adrenalina si mischia alla fantasia, proiettando scenari di ogni tipo nella mente, la curiosità vince sulla paura e alla fine si fanno i primi cauti, rispettosi, passi nel sottosuolo. Qui mi viene riservata un’accoglienza unica. C’è l’odore tipico dei luoghi ipogei indisturbati, la volta si sostiene su colonne ricavate dalla roccia, somiglianti a lunghe stalattiti. Ma ciò che cattura immediatamente il mio sguardo è il pozzo di luce che proietta un ampio raggio luminoso in fondo alla sala. Assomiglia a un occhio di bue teatrale, come ci si aspettasse che da un momento all’altro si manifestasse un qualcosa proprio in quel punto. Trattengo il fiato e mi faccio strada con cautela finché, effettivamente, qualcosa finalmente si manifesta. Si ode un forte frullo d’ali e poi, dal pozzo, qualcosa piomba al centro del fascio di luce. Si compone, si erge e mi osserva con degli occhi grandi ed espressivi: è una civetta.
Rimango per alcuni istanti con il fiato in gola, poi faccio alcuni passi per avvicinarmi, ma il rapace spicca il volo. Distende le grandi ali, attraversa la caverna, passa al mio fianco ed esce dal varco da cui ero entrata poco prima. Gli sciamani amerindi definivano “incontri di potere” i confronti ravvicinati con animali selvatici in luoghi sacri, ma non bisogna essere particolarmente spirituali per avvertire della magia in quanto appena accaduto.
Mi ricompongo e proseguo l’esplorazione dell’antro.
Chiesa rupestre di San Nicola…
L’elemento più affascinante dei luoghi antichi è dato dalle molteplici vite che questi hanno vissuto prima di giungere a noi e la Grotta di San Nicola ne è un fulgido esempio.
Questa grotta è nota sin dagli anni ’70 in qualità di chiesa rupestre consacrata al vescovo greco San Nicola di Bari o San Nicola Myra (IV secolo), santo venerato in diverse correnti del cristianesimo e particolarmente noto ai giorni nostri per essere la matrice originaria della figura di Babbo Natale. San Nicola –Sinterklaas in olsandese, dal quale deriva l’appellativo anglofono di Babbo Natale “Santa Claus“- era considerato, di fatti, il protettore dei fanciulli in quanto si narra che riportò miracolosamente in vita cinque bambini uccisi da un oste malvagio. Datata fra il XII e il XIII secolo, presenta ancora dei resti di affreschi sorprendentemente conservati in proporzione allo stato di abbandono totale in cui versa questo prezioso sito. Al centro della volta spicca ancora chiaramente una croce, mentre nei pressi dell’imbocco di notano i resti di un medaglione raffigurante la triade angelo-pastore-agnello.
Alzo gli occhi al soffitto, decorato per intero di stelle rosse in campo bianco. Ai lati della cavità sono presenti delle sedute. Il pozzo di luce sulla parte terminale della sala. Non mi sorprende che nel 1993 sia stata avanzata un’ulteriore ipotesi circa l’origine di questo luogo.
…o mitreo di San Nicola?
Nell’articolo dedicato al Mitreo di Marino abbiamo già avuto modo di trattare delle origini e della sostanza del mitraismo. Religione misterica di origine persiana, cominciò a serpeggiare in forma “massonica” nella Roma imperiale (I a.C. – prima metà del V d.C). Profondamente esoterica, destinata a pochi iniziati, ha fra i suoi principi la pratica dei culti dedicati a Mitra all’interno di cavità, le quali:
- hanno una pianta allungata con un abside finale e delle sedute laterali;
- presentano sulla volta la rappresentazione delle stelle e del cosmo;
- espongono nell’abside una rappresentazione (generalmente una statua) della tauromachia, ovvero dell’uccisione da parte di Mitra del toro selenico dal cui sangue sparso viene generato l’universo e la vita;
- sono spesso dotate di un pozzo di luce che illumina grandiosamente la scena.
Confrontando questo ambiente con i vicini Mitrei di Ostia, Marino, San Clemente e Sutri non possiamo che confermarne l’estrema somiglianza. Doveroso appuntare che questa ipotesi è ancora al vaglio dell’Università La Sapienza di Roma.
In questa sede mi permetto un’osservazione, del tutto personale e completamente slegata dagli ambienti accademici, che ritengo potrebbe comprovare questa tesi.
Il mitraismo, in epoca Romana, andò a innestarsi precisamente su un altro culto di antichissima tradizione: il Sol Invictus. Sappiamo che questa celebrazione aveva luogo il 25 dicembre, 3 giorni dopo il solstizio d’inverno, dì in cui il Sole sconfigge le tenebre e finalmente le giornate ricominciano ad allungarsi, mettendo in moto quella marcia che porterà alla primavera (per approfondimenti si rimanda all’articolo I tre giorni dell’inverno). Questo importante momento cosmico è stato onorato con massima sacralità simbolica fin dalla preistoria, in quanto segnava un passaggio cruciale nella ruota dell’anno.
Quando il cristianesimo ha gradualmente preso il posto del paganesimo, con l’ufficializzazione data dall’Editto di Costantino nel 313 d.C., si decise arbitrariamente di far combaciare le nuove festività cristiane con delle antecedenti giornate di festa, al fine di favorire il passaggio dal paganesimo alla nuova religione. Per la nascita di Cristo venne scelto il 25 dicembre.
Alcuni voci della tradizione ci riportano che la nascita di Mitra -non a caso rappresentato con il capo circondato da un disco solare– venisse celebrata il 25 dicembre, il giorno glorioso dell’invincibile sole.
Il mitreo, una volta adibito a chiesa rupestre, sarebbe stato infine consacrato a San Nicola, antesignano di Babbo Natale, completando un lungo tracciato che parte dall’età della pietra e termina con le letterine scritte a dicembre da fanciulli speranzosi. Ed è meraviglioso pensare all’esistenza di un fil rouge che ancora oggi ci tiene inconsapevolmente legati ai nostri antenati, che racchiusi e protetti nei loro gusci di roccia, vivevano l’alba del 25 dicembre come un miracolo. Esattamente come i bambini quando aprono gli occhi e trovano i regali sotto all’albero la mattina di Natale. Potrebbe trattarsi di una mera supposizione, ma se quanto osservato fosse comprovato da delle attestazioni, potrebbe trattarsi di un’ulteriore prova a supporto per identificare definitivamente la Grotta di San Nicola come un mitreo.
Questo luogo è ipnotico, dopo un primo momento di adattamento non c’è nemmeno più bisogno della torcia per orientarsi. Le pareti buie si estendono a dismisura oltre i limiti della visuale, scortate dalle stelle rosse in campo bianco. Lo spazio si distorce e il tempo diventa rarefatto.
Da quanto mi trovo all’interno del mitreo: cinque minuti? Un’ora? Non lo so, ma si potrebbe restare a lungo qui, in questo piccolo cosmo sepolto nel cuore della campagna romana.
Alessandra di Nemora
Fonti e linkografia:
- ArcheoTrekking Romani – Guida alla provincia di Roma
- https://speleology.wordpress.com/2012/12/29/grotta-san-nicola-mitreo/
- https://www.sotterraneidiroma.it/sites/mitreo-di-san-nicola
- https://it.wikipedia.org/wiki/San_Nicola_di_Bari